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La cinquieme saison
Non di sole immagini vive il cinema. Lo abbiamo capito vedendo il belga La cinquieme saison, dei due registi Peter Brosens e Jessica Woodworth. Una teoria di bellissime vedute al servizio di una storia senza sorprese. Inizia con uomo al cospetto di un gallo (equazione animale) e finisce con gli struzzi in pompa magna (qualcuno soccombe). In mezzo un villaggio nel cuore delle Ardenne e il giro completo delle quattro stagioni. Un giro solo cronologico, perché dopo l'inverno arriva l'inverno e poi un'altra volta l'inverno e infine ancora l'inverno. Un'anomalia dagli esiti nefasti con le api che scompaiono, le mucche che non danno più latte e la terra che non germoglia. La comunità perirà, non prima comunque di aver individuato nello "straniero" e nel figlio paraplegico l'origine di ogni male.
Capitolo conclusivo di una trilogia che comprende anche Khadak (girato in Mongolia) e Altiplano (ambientato in Perù), La cinquieme saison ripropone il tema dei rapporti tra uomo e natura, mettendo in scena lo scacco dell'homo faber, detronizzato da una physis che gli ha voltato le spalle: dal gallo che prima cantava a comando e ora non canta più, al legno che non brucia, è l'automatismo della téchne a saltare. Cosa ci sia all'origine di questa "rottura" il film non lo dice, preoccupandosi soprattutto di rappresentare attraverso immagini di grande suggestione quella che è una rivolta interna al mondo più che l'effetto di un giudizio universale.
Chaos sive natura insomma, tema attorno al quale Brosens e la Woodworth ne sviluppano altri, dal capro espiatorio (Girard docet) alla deriva oscurantista di ogni comunità chiusa (lo straniero da scacciare - il fool - in questo caso è anche il filosofo).
Tutto già ampiamente raccontato, sviscerato, pre-visto. Pretesto per costruire meravigliosi tableaux vivants, che s'ispirano ai grandi maestri dell'arte fiamminga e ai simbolisti come Böcklin e Schirmer. Cinema al soldo della pittura, cinema connotativo: ogni sequenza (la difficoltà di scalare una collina diventa automaticamente l'impossibilità di un'ascesa), carrello (ce n'è uno laterale che lascia dietro, fuori dal quadro, i personaggi: l'uomo è ancora al centro dell'universo?), angolo di ripresa (non si contano le plongée dall'alto, prospettiva di un'umanità schiacciata da una forza più grande) sono sempre espressioni di un'idea, metafore.Un film che sembra un trattato visivo, pittura in movimento e parto di un temibile architetto. Se fosse una casa sarebbe abitata da quadri. E tappezzata di ospiti appesi a muro.