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La prima neve
La cosa che salta subito agli occhi ne La prima neve, è proprio quella che non c'è. Colpisce l'assenza di conflitto. Non è forse il genoma di ogni narrazione mediatica? L'elemento tellurico di un paese che ogni santo giorno strepita, preme, ingiuria e scassa? Andrea Segre, al suo secondo lavoro di finzione dopo Io sono Li, tocca ancora una volta il tema dell'immigrazione senza avvitarsi nel frusto dibattito pubblico, ostaggio del gracchiare rozzo della politica e delle complici polemiche a mezzo stampa. Via stereotipi, sensazionalismo, pietismo fasullo.Là, nella trentina e bilingue Val dei Mocheni, a non avere diritto d'asilo sono proprio i muri. Autoctoni e approdati convivono guardandosi negli occhi, esseri umani in mezzo a esseri umani. Governa il reciproco riconoscimento, la solidarietà, la coscienza di una comune apparteneza alla terra. Il mondo come doveva essere prima delle sue divisioni.Zone d'ombre e piaghe sono incavate dentro intime e universali lacerazioni. Ferite di tutti. La prima neve è una lento processo di guarigione che si rivela in flagranza, nel movimento silenzioso delle cose, nelle cose, il respiro di un'anima che sembra abitare natura e persone. Ne fanno esperienza i due protagonisti del film, un ragazzo africano del Togo (Jean Christophe Folly), ospite di un centro di accoglienza, e un undicenne (Matteo Marchel) che vive in montagna con la madre. Il primo ha perso la moglie, il secondo il padre. Inevitabile s'incontrino. Non è l'effetto sorpresa la forza del film. Piuttosto sono le pennellate psicologiche, il tatto e il pudore.Attorno ai due "travolti" dalla vita, che Jean Christophe Folly e Matteo Marchel restituiscono allo schermo con intensità, una serie di personaggi non sempre indovinati (Battiston), o non adeguatamente valorizzati (Anita Caprioli).Segre viene dal documentario e si vede: asciuttezza formale, totale adesione all'ambiente, pulizia di immagini. Non convince invece quando abbandona il registro naturalistico per prendere impervie strade oniriche.Regia acerba ma consapevole. Rivela, fin dalla prima inquadratura ad altezza bambino, un approccio non giudicante.La natura stessa, con la quale i protagonisti del film vivono in simbiosi, offre un modello di solidarietà e di etica. Uomini come alberi, preziosi pure quando vengono strappati alle loro radici. Allora diventano legna, arnie, vasi e case. Tutto si tiene dentro l'ordine del mondo. Non c'è inverno che duri senza annunciare la nuova stagione.La prima neve è una promessa di primavera.