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La passion de Dodin Bouffant @ Carole Bethuel
La felicità è desiderare quello che si ha già. Il vietnamita trapiantato in Francia Tran Anh Hung si mette ai fornelli e serve in Concorso a Cannes 76 La passion de Dodin Bouffant, il gourmet incarnato dal Benoît Magimel e affiancato dalla cuciniera Juliette Binoche, la soave Eugénie.
Francia, metà dell’Ottocento, la donna lavora da vent’anni per il famoso gastronomo Dodin: tra i due si è sviluppata una passione affettuosa non suggellata, per volontà di Eugénie, dal matrimonio. La sua salute subisce contraccolpi, la rivoluzione ai fornelli non mancherà.
Il regista rinnova la cifra sensoriale, estetica ed estatica memorabilmente racchiusa nella sua opera prima, Il profumo della papaia verde, che compie trent'anni, e ribadita nella squisita fattura dal successivo Cyclo, Leone d'Oro a Venezia nel 1995.
Nella cottura a bassa temperatura di amorosi sensi, che lei preferisce essere cuciniera anziché moglie, Tran Ahn Hung si appoggia al libro pressoché omonimo dello svizzero Marcel Rouff La vie et la passion de Dodin-Bouffant (1924) per portare sullo schermo la leggenda del palato, il Napoleone del gusto, cui Magimel, migliore attore protagonista alle ultime due edizioni dei César per De son vivant e Pacifiction, dona evidenza e nitore pregevoli.
Le pietanze ideate, ammannite e celebrate quali il pot-au-feu, un bollito contadino del nord della Francia, preparato con varie carni e verdura cotti in acqua a fuoco basso per delle ore, e il dolce omelette norvegese, nonché debitamente innaffiate da Clos-Vougeot e altre meraviglia, esaltano il patrimonio culinario transalpino, convalidato dallo chef Pierre Gagnaire, e accanto alla Papaia verde e al Chocolat evocato da Binoche ritrovano altre grandiose tavole cinematografiche, su tutte per il bouquet sentimentale e retrogusto spirituale Il pranzo di Babette di Gabriel Axel, con cui rivaleggia nelle succulenti, raffinate ricette – anche se le cailles en sarcophage forse non le batte.
Siamo dalle parti del cinema de papà à la table, a rischio stucchevolezza più che abbuffata, che impiatta perfino oleograficamente manicaretti inarrivabili, degustazioni dotte e convivi che chiamano l'acquolina in sala: il rischio della sottovalutazione è sensibile, qualche risolino condiscendente affiora sulla bocca dello spettatore, ma il film qui e là zampilla ironia e, sopra tutto, c'è soddisfazione nella sinestetica visione, che il gastronomo Dodin sa il fatto suo e Eugénie parimenti.
Amore e morte, per fortuna non del palato, non c’è di che esaltarsi, ma assaporare assai: non sarà un’esperienza audiovisiva stellare, ma pluristellata questo sì.