Pennellate en plein air disegnano Jagna, donna radiosa nel pieno della giovinezza che cammina in mezzo alla natura in una splendida giornata di sole. Di fiorente splendore, la ragazza verrà costretta a sposare un anziano ricco proprietario terriero. Un contratto ignobile al quale la giovane, oggetto di malelingue e di pressanti attenzioni, si ribellerà. Sovversione attuata continuando la relazione con il tempestoso figlio del neo marito sia lottando per difendere la propria indipendenza in un villaggio in cui i ruoli sono rigidamente definiti e dove il patriarcato è inestirpabile.

A più di cinque anni da Loving Vincent, i coniugi Welchman adattano il poderoso romanzo I contadini di Wladyslaw Reymont (Nobel nel 1924) del polacco Wladyslaw Reymont, un’epopea epica sulla campagna polacca del XIX secolo. Istituzione letteraria in Polonia, la citata opera non è la prima trasposizione dell’autore che nel 1975 viene già adoperato dal conterraneo Andrzej Wayda La terra della grande promessa e al quale è unanimemente riconosciuta un’eccellente scrittura dinamica e un marcato pragmatismo descrittivo, funzionali a designarne la produzione come autentica testimonianza storica, ma anche profonda analisi di tematiche universali.

L’ambientazione spazio-temporale della vicenda è con oggettività distante, lontana dal nostro vivere contemporaneo, è un mondo provinciale intriso di usi e costumi radicati in un folclore affascinante quanto maligno. Eppure qualcosa di mai sconfitto ed attuale c’è: l’intersecarsi tra moralismo pubblico e desiderio privato come fanatica derivazione della misoginia e della paura di chi si distingue dai canoni prestabiliti.

Un antifemminismo che scorre su due binari, quello maschile richiedente e quello censore femminile, entrambi aventi come terribile culmine l’umiliazione pubblica qui raffigurata come dissennata caccia alle streghe. Estrapolata la sostanza più stimolante, l’intreccio risulta comunque un melodramma giustamente convenzionale. In effetti, l’impresa di aver riepilogato tal mastodontico lavoro letterario sembra un raffinato espediente per rendere il contenuto pretesto per valorizzare la forma.

Girato dal vero per poi essere dipinto ad olio, il film beneficia della tecnica del rotoscopio per riprodurre ritmo con il fine artistico di edificare un cinema pittorico rafforzando l’estetica cara agli autori di animazione sperimentale. Ispiratosi al movimento modernista della Giovane Polonia, le immagini richiamano tavolozze uniche che spaziano dal realismo fotografico alla vivacità cromatica di paesaggi impressionisti.

L’azione si diffonde attraverso l'alternarsi delle stagioni, delle profondità di gradazioni invernali, dei limpidissimi chiarori estivi e dalle palpabili texture. Mirabili le scene corali di usanze tradizionali e i totali naturalistici; tuttavia la sovrabbondanza di campi larghi tende ad assottigliare ed appesantire lo scorrere della sceneggiatura. Proprio a causa dell’ampollosità manuale al servizio dell’epos contadino, il quesito che ci si pone si può ben verbalizzare utilizzando una locuzione latina: repetita iuvant? Forse.