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La misteriosa mirada del flamenco
Siamo agli inizi degli anni ‘80, nelle aride zone del deserto del Cile settentrionale. Lidia (Tamara Cortes), undicenne, cresce in una famiglia queer amorevole e sopra le righe che trova rifugio in un cabaret alla periferia di una città mineraria aspra e polverosa.
La felicità è però minacciata da una misteriosa e mortale malattia che inizia a diffondersi: si dice che venga trasmessa da un semplice sguardo, quando un uomo si innamora di un altro. E per questo la comunità diventa rapidamente bersaglio di paure e fantasie collettive.
Classe 1985, Diego Céspedes esordisce al lungometraggio con La misteriosa mirada del flamenco (Lo sguardo misterioso del fenicottero), film selezionato in Un Certain Regard a Cannes 78, festival dove il regista cileno fa ritorno dopo aver vinto nel 2018 il Premio della Cinéfondation con il corto El verano del león eléctrico.
Lo fa con un’opera eccentrica e barocca, commovente e a suo modo tanto tragica quanto divertente, una sorta di western moderno trascinato dalla vitalità di un cast dove svettano le prove di Paula Dinamarca e Matías Catalán, rispettivamente Mamá Boa e Flamenco, il travestito che a suo tempo adottò la piccola Lidia, abbandonata da chissà chi quando ancora neonata.
Céspedes insiste molto sull’importanza emotiva di questi legami, lo si capisce sin da subito, quando Flamenco insieme a tutte le altre “ragazze” parte lancia in resta per vendicare un atto di bullismo subito da sua “figlia”. E lo stesso farà Lidia all’indomani del tragico evento causato da Yovani (Pedro Muñoz), l’uomo innamorato di Flamenco.
Giocando molto con la fusione di atmosfere che abbracciano la semplice quotidianità e gli spazi sconfinati del mito (i bellissimi campi lunghi delle esterne), anche supportato dalla splendida colonna sonora di Florencia di Concilio, il giovane regista intraprende un viaggio a ritroso per ritornare agli inizi di un male che, in quel periodo, uccideva le persone non solo fisicamente ma anche a causa dello stigma che erano costrette a subire.
In ottica palmarès, oltre alla Queer Palm, attenzione alla Caméra d’or.