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La mia classe
Bassirou, Mamon, Gregorio, Jessica, Metin, Pedro Savio, Ahmet, Benabdallha, Shadi, Easthe, Shujan, Lyudmyla, Moussa, Issa, Nazim, Mahbobeh, Remzi. E un maestro, Valerio Mastandrea. Che ogni giorno li incontra per le lezioni di italiano: il gruppo è eterogeneo, gli studenti provengono da tutto il mondo, dalla Guinea e dal Bangladesh, dalle Filippine e dal Perù, dalla Turchia e dal Brasile, dalla Tunisia e dall'Egitto, dalla Nigeria e dall'Ucraina, dal Senegal, dalla Costa D'Avorio e dall'Iran. Unico comune denominatore: extracomunitari, con permesso di soggiorno. Fino a che non scade...
Non un documentario, non un film di finzione, né docufiction o backstage: La mia classe di Daniele Gaglianone - ospitato alle Giornate degli Autori di Venezia - è un po' di queste cose, ma sfugge ad ognuna di esse. E' un esperimento? Forse. Che nasce proprio nel momento stesso in cui il film (quello che in origine doveva essere un "canonico" film) viene investito dalla stessa realtà che voleva raccontare: "L'obiettivo allora è diventato quello di fare in modo che lo spettatore smettesse di chiedersi che cosa stesse vedendo, una sorta di riflessione sulla natura duale dell'immagine che rimanda a due universi che spesso vogliamo separati ma che invece separati non lo possono essere quasi mai", spiega il regista, che si ritrova "in campo" anche grazie alle insistenze dello stesso Mastandrea. E che ci obbliga ad una fruizione dapprima straniante - i fonici in campo, alcune scene provate, poi ripetute più volte, i dialoghi tra lo stesso Gaglianone, Mastandrea, gli studenti e la produzione - poi sempre più "familiare": sì, perché la realtà che ha invaso la finzione e che ora viene riproposta come tale, nel suo "farsi", costringe lo sguardo non più, non solo, a prendere atto, ma quasi a partecipare. Come fanno tutti gli studenti dopo aver ascoltato il brano L'autostrada di Daniele Silvestri, strumento diegetico per un'approfondita analisi del testo, come ci chiede di fare il "film" quando ognuno di loro, con un italiano stentato ma autentico, racconta da cosa è fuggito, o chi ha lasciato arrivando qui da noi.
"Quello che stamo a fa' non serve a niente", dirà ad un certo punto Mastandrea a Gaglianone, quando uno studente dovrà essere rimpatriato: ed è così, un film che avesse semplicemente "mostrato" tutto questo sarebbe stato inutile. Perché non sarebbe stato in grado di risolvere il più grande equivoco che viviamo quotidianamente, quello che ci spinge a dover scegliere una "legalità" che umanamente non possiamo non considerare "illegittima". La mia classe ci aiuta a comprenderlo una volta di più. Ma sarebbe bastata una mezz'ora in meno.