Joe Biden non dovrebbe perderselo, ammesso si ricordi di non perderselo. Che Jill ce lo porti – il film è uscito in America lo scorso 15 marzo, magari è già successo – e l’abbia in gloria, anche perché a più di qualche latitudine geopolitica presidente e sicario coincidono… Comunque, La memoria dell’assassino – da non confondere con Memorie di un assassino di Bong Joon-ho (2003) – è in sala, e ci riconsegna prima di ritrovarlo in Mostra a Venezia in Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton Michael Keaton, qui uno e bino, regista e interprete: davanti, e non stupisce, è meglio che dietro la macchina da presa, e tocca farsene una ragione.

Diciamo che è una regia effimera, temporizzata praeter necessitatem, con più perseveranza che persistenza, giacché la malattia di Creutzfeldt-Jakob che s’impossessa del sicario John Knox (Keaton) non perdona: gli rimangono settimane, nemmeno mesi, allorché il figliol – poco - prodigo Miles (James Marsden) gli chiede aiuto per un ammazzatina in conto proprio.

Aiutato dall’amico caro Xavier (Al Pacino, in quota mutuo nautico) e avversato dalla detective Ikari (Suzy Nakamura, ed è subito brutta copia di CSI…), il buon Knox, da cui il titolo originale Knox Goes Away, si barcamena tra sotterfugi e messinscena – sì, la mise en scene è un’altra cosa… - neuroni a scomparsa e le immagini pure, richiedendo alla nostra incredulità non una mera sospensione ma una resa incondizionata.

Se il vulnus della sceneggiatura, inchiostrata in punta di scopino più che penna da Gregory Poirie, è incontrovertibile, il director Keaton non lenisce alcunché: malgrado il disagio di Knox, è comunque più lucido da attore che da regista

Dopo il non esaltante neo-noir The Merry Gentleman (2008), l’opera seconda di Keaton è evanescente.