Come direbbe qualcuno, la trama è semplice. Un disilluso violinista, Simon Daoud (Kad Merad), che ormai suona più per dovere che per autentico trasporto, accetta (senza troppa convinzione) di insegnare la propria arte a una giovane classe di periferia, con l'obiettivo (all'apparenza impossibile) di portarli sul palco della Filarmonica di Parigi. Dopo un inizio burrascoso, i ragazzini scopriranno il potere della musica, mentre lui capirà qual è davvero il suo posto.

Se ne La mélodie cercate innovazione e colpi di scena imprevedibili, non li troverete. I passaggi canonici del cinema formativo di riscatto ci sono tutti: il contesto difficile da cui proviene la maggioranza degli allievi, il professore entusiasta convinto di riuscire a fare la differenza (Samir Guesmi), l'outsider dal talento dirompente (Alfred Renely), il bullo dall'animo sensibile, la progressiva conoscenza dello strumento (tattile ed empatica), la costruzione del gruppo, la prima esibizione disastrosa e così via.

All'esordiente (nel lungometraggio) Rachid Hami (autore anche della sceneggiatura insieme a Guy Laurent e Valérie Zenatti) non interessa sfornare un capolavoro o mandare in sollucchero i cinefili d'essai con chissà quali elucubrazioni tematico-stilistiche. Ciò che gli importa davvero è scaldare il cuore del pubblico e far comprendere le straordinarie possibilità (educative e non) offerte dalla musica classica, che tutto è tranne una "cosa da vecchi".

E, nel farlo, Hami si affida alle facce giuste. Infatti, al di là dell'essenzialità funzionale della messa in scena e della linearità del copione (che riesce a non scivolare mai nel patetismo retorico, anche se le occasioni per farlo abbonderebbero), del sempre bravo Merad e della trascinante colonna sonora di Bruno Coulais (con un occhio, anzi un orecchio di riguardo agli estimatori di Rimskij-Korsakov), gran parte del merito de La mélodie va ai suoi giovanissimi protagonisti: irriverenti, sboccati e cresciuti troppo in fretta, ma proprio per questo irresistibili, genuini e sempre convincenti, sia che vengano alle mani scambiandosi i peggiori insulti, sia che si esercitino suonando il violino sui gelidi tetti delle banlieue.

 

Non ci vuole molto a capire che l'asso nella manica de La mélodie è la passione, una passione autentica, capace di sciogliere il cinismo dello spettatore più prevenuto (ossia quello che si ritiene troppo raffinato ed elitario per emozionarsi con una storia così "comune"), proprio come i ragazzini riescono a far breccia nel disincanto di Simon, il quale passa dal considerarsi superiore a loro all'empatia totale, cambiando persino filosofia di vita e sostituendo così il tipico mantra di chi vede unicamente il traguardo da raggiungere ("Solo i migliori ce la fanno") con il ben più importante (a livello umano) "Nessuno va lasciato indietro perché tutti sono fondamentali".

Uno dei quei film che fanno bene all'anima, dove la semplicità è un valore aggiunto e, diciamolo pure, indispensabile.