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Se n’è andato per un infarto il 9 maggio del 1997, e in questi vent’anni abbiamo fatto di tutto per dimenticarlo, e forse ci siamo riusciti. Tra chi dice no alla rimozione c’è Nicoletta Ercole, celebrata costumista, anche per Ferreri, da Ciao maschio fino al penultimo film Diario di un vizio - l’ultimo, Nitrato d’argento del ’96, l’ha solo preparato. La Ercole produce un documentario diretto da Anselma Dell’Olio, La lucida follia di Marco Ferreri, in cartellone (Venezia Classici) alla Mostra di Venezia.
Grazie a clip dei suoi film, da El cochecito a La donna scimmia, da Dillinger è morto a Storia di Piera, passando per l’ineludibile La grande abbuffata, e illustri talking heads, da Roberto Benigni – super – a Isabelle Huppert, da Hanna Schygulla a Serge Toubiana, il film prova a classificare ciò che è inclassificabile, esplorare ciò che è inesplorabile, affogando spesso negli occhi azzurri di Ferreri, vero specchio riflesso e mise-en-abyme.
Ritroviamo un non maestro, anzi, il non maestro per definizione, uno che si voleva veterinario e trovò La cagna, uno che si dibatteva tra femminismo e misoginia senza soluzione di continuità, uno che volevano dispotico con gli attori e che, viceversa, ebbe la stima e l’amicizia dei suoi moschettieri, Mastroianni, Tognazzi, Noiret e Piccoli.
L’archivio – Luce, Rai Teche e francesi – ce ne riconsegna l’insondabile mistero, cantato da Benigni in una ghiotta poesia, ci ricorda la conferenza stampa infuocata dell’Abbuffata a Cannes, ci rammenta il suo ecologismo, la sua fisiologia cinematografica, senza eludere che “per gli latri grande registi si parale dei film, a me di temi, filosofia”.
Ferreri, splendidamente e inattuale e nostro contemporaneo, dominato dalla nonchalance (Toubiana) o dall’impazienza (Radu Mihaileanu), guidato da se stesso ma aperto al mondo: il documentario se ne fa carico, anzi, flusso, certo che i suoi occhi, la sua corporatura, la sua mancanza vinceranno su tutto, malgrado tutto.
Ci sono Ornella Muti, Andréa Ferreol, Dante Ferretti e Philippe Sarde, ci siamo noi ancora increduli rispetto a quel che è stato, quel che siamo stati e lui e noi non siamo più: era età dell’oro del nostro cinema, e Ferrei ci sguazzava solo e solitario ma volendo condividere una frittata con duemila persone.
Il documentario ha il pregio di non prevaricarlo, non etichettarlo, non schematizzarlo: si muove libero, ma in una gabbia. Che era poi, con Sergio Castellitto, la cifra dell’improvvisazione, della sceneggiatura permeabile epperò del comando del nostro non-Maestro.
Guardando a Ferreri, guardano all’oggi, torna in mente Michel Platini: “Quando cade l’acrobata, entrano i clown”.