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“Retromania”. È il termine che il critico musicale Simon Reynolds ha coniato nel libro omonimo (edito da ISBN) per definire l’ossessione per il passato che la cultura popolare cova da almeno 15 anni, tra nostalgie e voglia di ricostruire forme artistiche e stili degli anni d’oro. E il cinema, tra revival e ricostruzioni più o meno filologiche, da Tarantino in giù, è in prima linea in questo senso.
Ma Damien Chazelle ha voluto scegliere un’altra strada per realizzare La La Land, suo terzo lungo-metraggio che apre la 73. Mostra del Cinema di Venezia: per dare seguito a Whiplash, che usava la musica come un campo di battaglia in cui replicare il film sportivo o meglio uno scontro bellico tra un generale e un sergente, il regista sceglie il musical (l’anello di congiunzione quindi tra cinema e musica), il luogo perfetto per dare sfogo alla “retromania”.
E in effetti, La La Land è un omaggio dichiarato al musical classico, tra numeri di tip-tap e ricostru-zioni in puro stile Vincente Minnelli che racconta la storia d’amore complicata tra l’aspirante attrice Mia (Emma Stone) e il musicista Sebastian (Ryan Gosling) che sogna di aprire un jazz club tutto suo.
Sembra di rivedere il Coppola di Un sogno lungo un giorno, specie nell’uso delle scenografie, ma il film di Chazelle è soprattutto il racconto di un amore malinconico e moderno, contrastato non dalla società né dagli eventi della Storia come da tradizione melodrammatica, ma dalle personalità di ognuno dei protagonisti, dalle difficoltà a far collimare i propri sogni e le proprie ambizioni personali con la capacità di supportare un’altra vita, altri sogni.
Segue le stagioni di Los Angeles (il cui titolo è un affettuoso soprannome dato dagli artisti) e due vite colte in un momento di passaggio fondamentale, quello in cui i sogni si tramutano in realtà, trasfor-mando la vita in qualcosa di difficile da gestire. E questo racconto nevrotico e “alleniano” prenderà le forme del film musicale, dei balletti nel traffico di Los Angeles, delle danze e delle canzoni al tra-monto che puntano a far breccia nel cuore di ogni appassionato.
Come in Io e Annie, Los Angeles sembra essere la terra dei rimorsi e dei rimpianti, dei sogni perduti che i protagonisti devono lottare per tenere in piedi. E così Chazelle non vuole limitarsi a omaggiare canzoni, balli, movimenti di macchina e scelte stilistiche del passato, ma prova a darne la propria lettura personale così come la batteria era diventata la chiave di lettura di un duello, di uno scontro, di un gioco al massacro.
Nessun massacro è però previsto in La La Land, anzi il regista punta a stemperare la muscolarità del film che lo ha lanciato con gesti romantici, sognanti, venati di melanconia, facendo conquistare il centro del palco e le luci della ribalta ai suoi due protagonisti e facendo apparire in un divertente cameo J. K. Simmons, attore di lunghissimo corso che dopo una vita di piccoli ruoli (su tutti il direttore del giornale in cui lavora Peter Parker in Spider-Man) ha conquistato l’Oscar per la parte del maestro in Whiplash.
La La Land è un musical, certo. E una commedia romantica. E anche un dramma intimista sullo scontro tra affetti e ambizioni. Di certo è un film che trabocca di citazioni e suggestioni importanti. Ma soprattutto, è un’opera di sentimenti e invenzioni cinematografiche, la conferma di un talento per nulla nostalgico o di retroguardia. Quello di Damien Chazelle.