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La kriptonite nella borsa
E' stato probabilmente l'italiano più applaudito del concorso, almeno dalla stampa. E, rispetto ai suoi fratelli di bandiera, gli va riconosciuta una maggiore freschezza, un côté più definito, una cornice più accattivante e due-tre trovate riuscite. Ma a uno sguardo meno autarchico La kryptonite nella borsa - scritto e diretto da Ivan Cotroneo, tratto dal romanzo di Ivan Cotroneo, cotroneizzato insomma anche troppo - sembra un film che ristagna tra carineria e aurea mediocritas, cappa del moderno (?) cinema italiano. A suo modo esemplare nell'esplicitarne umori, ambizioni e limiti.
Siamo a Napoli, anni '70, in casa Sansone, spicchio di una famiglia allargata: non ci sono solo i genitori (Valeria Golino e Luca Zingaretti) di Peppino, 9 anni e protagonista di questa storia (Luigi Catani); ma i nonni materni custodi di tradizioni e folklore; gli zii più giovani, due fricchettoni (Cristiana Capotondi e Libero De Rienzo) e il "genio" di casa che si rivelerà un bamboccione (Gennaro Cuomo); il cugino Gennaro (Vincenzo Nemolato) che "si vede" Superman e poi muore...
Ma la macchina da presa di Cotroneo (all'esordio in regia) si spinge oltre, allargando lo spettro delle storie e la galleria dei caratteri - dall'amica sfigata della madre di Peppino, allo psichiatra interpretato da Fabrizio Gifuni - senza approfondire la visione, che resta indecisa tra il tipo e il personaggio, la favola e la commedia corale, la memoria e il folklore. Dopo un inizio promettente, il film si affloscia, incapace di andare avanti con brio. Smaltisce velocemente leggerezza e inventiva impantanandosi nel tipico psicologismo da fiction italiana (un esempio è la deriva depressiva della madre), nel melò all'acqua di rose o, se preferite, nella commedia triste. Perde per strada troppi personaggi (nonostante l'ottima prova di quasi tutti i suoi interpreti), non prende una direzione precisa né potrebbe, stretto com'è tra due intenzioni forti e litiganti: da una parte il racconto di maturazione, il bisogno di cambiare che hanno tutti; dall'altra la nostalgia, la malinconia compiaciuta del ricordo, il desiderio impossibile che tutto torni com'è.
Cambiare, non cambiare: questo è il problema. Del film in primis, che rinnova il look ma non la faccia rievocativa (e allusiva: fuga dal presente?) del cinema italiano di questi anni, da Notte prima degli esami a Mio fratello è figlio unico. Il nostalgismo non fa memoria e, al netto dell'ottimo lavoro di Luca Bigazzi (fotografia), Lino Fiorito (scenografia) e Rossano Marchi (Costumi) - grandi tecnici del "rivestimento", che lavorano sul make-up degli anni settanta, non sulla sostanza - la sceneggiatura resta materia grezza ed esile, con pochi giri e troppi (e troppo furbi) surrogati emozionali - le evergreen musicali come Lust for Life (Iggy Pop), Quand'ero piccola (Mina), Life on Mars? (David Bowie).
Pezze su un vestito sdrucito, a conferma che La kryptonite nella borsa del cinema italiano è la sceneggiatura: sempre più un problema in un sistema avaro di registi-Superman.