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La guerra dei nonni
Difficile che i nonni abbiano un ruolo centrale nei film italiani. Ed è un controsenso, non solo per l’incidenza emotiva che hanno nel vissuto dei nipoti, ma anche per la presenza nel loro quotidiano, molto più che in passato. In questo senso, La guerra dei nonni di Gianluca Ansanelli è un film che fotografa davvero qualcosa che al cinema resta spesso ai margini del racconto, eleggendo a protagonisti personaggi che sono generalmente comprimari.
Ed è interessante che gli attori siano Vincenzo Salemme e Max Tortora, due commedianti che di certo non sono percepiti come anziani (anche perché anziani non sono: il primo ne ha 66, il secondo appena 60) ma che hanno l’età per essere nonni, nonostante i loro colleghi coetanei continuino a rappresentarsi in una permanente mezza età, sempre accompagnati da partner molto più giovani. Pensateci: quanti sono gli attori della loro generazione che hanno interpretato nonni? Il che non vuol dire che debbano incarnare vecchietti in pace dei sensi o sentimentalmente assopiti. Si tratta piuttosto di una questione di (quel che resta del) divismo, di una percezione di sé poco corrispondente con la realtà, di un latente rifiuto del tempo che passa.
Preambolo forse superfluo, eppure è un elemento che veicola la credibilità de La guerra dei nonni, commedia gentile più che stucchevole, che funziona anche per la chimica tra Salemme e Tortora: l’uno, buffo nel suo essere travolto dagli eventi, gioca a fare il Peppino De Filippo vessato dal comico prevaricatore; l’altro torreggia a ruota libera in un tipico ruolo da cialtrone romano tra cattiveria e malinconia. Interpretano Gerri e Tom (riferimento esplicito, a sottolineare l’intenzione cartoonesca), consuoceri agli antipodi: il primo vive con figlia e genero, genitori di tre nipoti (un’adolescente fidanzata con un trapper di periferia, un bambino forse dislessico, una bambina con un’amica immaginaria) che lui accudisce con amore; il secondo è sparito per anni e, tornato in Italia, millanta esperienze in tutto il mondo un po’ alla Manuel Fantoni in Borotalco. Quando i genitori devono andare a Dubai per lavoro, i nonni devono badare ai pargoli ed entrano in competizione tra loro, non solo per l’affetto dei nipoti ma anche per conquistare l’avvenente vicina di casa.
Tutto molto pulito senza rivelarsi sterilizzato, tra lessico edulcorato e gag semplici, è un’acuta operazione commerciale inclusiva in cui c’è rispetto per l’intelligenza degli spettatori più piccoli e non manca un occhio per i sorrisi di quelli più grandi (merito soprattutto di Tortora, che sfodera alcune battute notevoli). Poi, certo, non ci sono straordinarie intuizioni di messinscena (l’incipit è pigro), qualche passaggio è fin troppo prevedibile e qualcosa non torna (il collare di Salemme che sparisce improvvisamente), la destinazione per i piccoli schermi è dichiarata dal marchio di Netflix che campeggia in apertura (streaming is the new tv commerciale), ma è una commedia per famiglie più che dignitosa.