PHOTO
La grande scommessa
Il big bang della crisi mondiale, registrato a Wall Street nel 2008 - e del quale si sentono ancora gli effetti in paesi come il nostro - è ormai diventato una saga al cinema: da Margin Call a Wolf of Wall Street, ma anche Inside Job o 99 Homes, gli autori hanno trovato una propria chiave per raccontare la tempesta che ha travolto milioni di persone. E l'ultimo capitolo è di quelli che non dimentichi: La grande scommessa (The Big Short), ispirato al bestseller omonimo di Michael Lewis e diretto da Adam McKay, specializzato in commedie comiche che qui si trasforma in regista d'impegno politico, con un film che anche nella fotografia e nelle inquadrature paga un tributo al cinema degli anni '70, ma al ritmo forsennato di Wall Street.
La grande scommessa ci tiene con il fiato sospeso raccontandoci un meccanismo perverso, nel quale tutti giocano sulla pelle dei risparmiatori: protagonisti tre diversi gruppi di analisti che sin dal 2005 intuiscono che il sistema non potrà reggere, e a dispetto di chi gli ride dietro, agiscono prevedendo il collasso del castello di carte, diventando ricchissimi al crollo. Quella è la “grande scommessa” del titolo, quella contro il sistema economico corrotto e pronto ad implodere, travolgendo i risparmiatori. Il modo in cui lo fanno, resta francamente un mistero per gli spettatori non economisti, i dialoghi serratissimi infatti diventano talvolta incomprensibili, eppure si resta inchiodati alla poltrona, perché al di là del linguaggio tecnico, il film ci svela il funzionamento della macchina dalla quale dipendiamo tutti. Eroi? Decisamente no, visto che dietro i loro profitti ci sono i cittadini sul lastrico. Eppure si fa il tifo per loro, grazie al cast, coro di solisti che non sbaglia una nota: Christian Bale, Ryan Gosling, Steve Carell sempre più bravo in ruoli drammatici, Brad Pitt. Star trasformate da parrucche e trucco, talvolta platealmente, e che - soprattutto nei personaggi di Pitt e Carell - si interrogano su cosa c'è dietro i numeri: case, lavoro, vita. La questione finanziaria si fa morale, e l’happy end non c’è.