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Le parole che chiudono il film rappresentano l'esergo e l'epitaffio del cinema di Jacquet: "Ora che conoscete la storia, che avete intenzione di fare?". Una spinta e un limite.
Come La marcia dei pinguini e La volpe e la bambina, anche questo La glace et le ciel è un'operazione che può arricchirsi solo nella didattica e nella prassi là fuori. Oltre lo schermo. Non vive di per sé, non è etica perché estetica, ma significativa nel momento in cui sensibilizza e opera nel dominio del reale. Altrimenti è solo (auto)assolutoria.
C'è una frase significativa che il protagonista di questo documentario, lo studioso dei ghiacchi Claude Lorius, dice nel finale e che sembra suggerita da Jacquet: "A volte mi rattrista pensare che il lavoro di una vita non produca le conseguenze sperate".
La glace et le ciel va visto, sostenuto. Soprattutto però va vissuto. Inutile appellarsi ai governi, alle istituzioni se non si interpella prima la propria coscienza. L'ecologia non è - non più - un distintivo politico, ma tragica consapevolezza di un destino comune, di un aut-aut globale. Bisogna fermarsi. Come? E' sempre Lorius a rispondere: "Controllando i livelli di concentrazione di Co2 nell'aria". Aramaico? No, il film è chiaro e persino avvincente nonostante le implicazioni scientifiche. E' l'avventura di un uomo e di un sogno nel cassetto. E' la misura di una distanza tra essere e dover essere. La storia di un equilibrio perduto a fronte di uno squilibrio prodotto. Come tante altre volte in Jacquet.
Che fa di nuovo rotta sull’Antartico, il continente bianco, seguendo i ricordi del padre della glaciologia Claude Lorius: 22 spedizioni, dieci anni di vita trascorsi là dove il termometro non supera mai lo zero, tra i ’50 e gli ’80, con russi e americani. Altro che guerra fredda, la pace del ghiaccio dovevano chiamarla. Una cooperazione che avrebbe portato all’evidenza del cambiamento in atto, di un surriscaldamento anomalo, al di fuori dei normali cicli climatici.
Operazione quanto mai attuale, che si avvale di una preziosa documentazione d’archivio prodotta in ognuna delle spedizioni che Lorius, ormai 82enne, ha effettuato al Polo Sud. Immagini Super 8, 16 mm, betacam, capaci di restituire l’eccitazione di un’epoca che avanzava col vento in poppa verso un futuro di conquiste scientifiche. Fino al digitale di oggi, che è quel futuro già avverato nei modi che non ci si attendeva.
Il presente richiede nuovi sforzi immaginativi. Stavolta per la sopravvivenza. Mentre il fascino del ghiaccio e dei suoi cristalli rimane inalterato e rifulge oltre lo scopo del documentario. Herzog resta lontano anni luce, ma come esperienza didattica è dilettevole nell'utile.