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La jalousie
“Non si può parlare d'arte con la morale della vita, con i buoni sentimenti non si realizzano buoni film”. Lo dice Philippe Garrel, ma manca qualcosa: con quelli cattivi, di sentimenti, che film si realizzano? Sbagliato, quest'osservazione non c'entra nulla con il film, La jalousie, che portava in Concorso a Venezia70 e ora porta in sala, affidando al figlio Louis il compito di interpretare il nonno a 30 anni, ripercorrendone l'affaire con una donna (Anna Mouglalis) che rese la nonna gelosa assai.
Subito, interviene lo sfalsamento di piani: temporali, genealogici, e via dicendo, ovvero il cardine su cui il film muove le proprie coordinate poetico-stilistiche. Ma c'è un problema: ok costumi, pose, dialoghi, fogge, arredo anni '70 con mood collettivo-pauperistico – invero, abbiamo l'irrefutabile certezza di essere qui e ora solo quando viene inquadrata la lavagna di un bar con i prezzi in euro… – ma almeno i batik appesi al muro, i maglioni 300%lana, i panini collettivi, i gattini a parati non si potevano evitare? E le circonvoluzioni esistenziali ammuffite e ritrite dovevano proprio essere riesibite? Garrel dice sì e, spinto anche dalla morte del padre, mischia passato e presente in una linguistica generale – ah sì, è il suo Cinema – che sconfessa qualsiasi prospettiva diacronica: il padre rivive nel figlio, i suoi anni nei nostri.
Con una esternalità eternamente positiva: l'amore non muta, gli abbandoni, il resto di niente e i figli, i tradimenti e le gelosie sono ancora, e sempre, hic et nunc. Ovvero, gli spari sopra sono per noi: uccidersi, ma perché? Soffrire, ma come? Vedere, ma cosa? E Philippe sfodera la domanda: “Questo cinema di poesia può continuare a esistere, industrialmente parlando?”. Viva le idee, viva la libertà, e quant'altro, ma cari tutti, e Philippe per primo, occhio all'accanimento terapeutico. E basta con il cherchez la femme: “Chi è che non trova colpa nella donna che ti lascia?”, ha detto Louis al Lido. Ma anche, aggiungeremmo al bel (?) tenebroso, chi è che non trova colpa nel padre che non ti lascia? Perché Philippe torna a Godard e Renoir, ma c'è un pericolo paradossale: cinéma de papa?