È difficile dire qualcosa di negativo su Robert Guédiguian, il grande regista francese che, indefesso e fiero, continua a comporre il suo mosaico di vita marsigliese. Uomo del Novecento che non si barrica nelle illusioni perdute ma, anzi, s’incarica di affrontare falle e complessità della contemporaneità nella speranza che, prima o poi, il sol dell’avvenire possa sorgere ancora, Guédiguian è uno di quelli che sempre e per sempre troveremo dalla stessa parte: quella del popolo, dei valori irrinunciabili, della solidarietà di classe, della forza popolare.

Con La Pie voleuse ovvero La gazza ladra (presentato alla XIX Festa del Cinema di Roma in Grand Public), Guédiguian torna alle atmosfere di certe sue commedie drammatiche che l’hanno rivelato alla fine del secolo scorso, un po’ sulle tracce di Marius e Jeannette (il suo maggiore successo commerciale) dove il lessico amoroso è apparentemente più centrale rispetto al discorso politico. In realtà, nell’orizzonte di questo regista militante e appassionato, è impossibile scindere il destino collettivo dalle vicende personali se non proprio affettive, tant’è che ogni gesto dei suoi personaggi ha sempre a che fare con qualcosa che va al di là del mero dato estemporaneo.

La gazza ladra è Maria (Ariane Ascaride, ça va sans dire: i suoi primi piani sono spettacolari), donna del popolo che passa la vita ad aiutare le persone anziane: tutti le vogliono bene, sia per la dedizione che ci mette nell’assistenza sia per il forte e naturale legame di fiducia che si crea con queste persone spesso sole che la chiamano anche nel cuore della notte.

Gazza ladra è un titolo che ha a che fare con la musica, una costante dell’autore (oltre a Rossini sentiamo Mozart, Chopin, Liszt), ma anche simbolicamente perché le condizioni economiche precarie portano Maria a rubare qualche soldo, ogni tanto, per togliersi qualche sfizio che altrimenti le sarebbe precluso. Sa di sbagliare, ma si tiene tutto per sé, un po’ perché si tratta di un peccato tutto sommato irrilevante (qual è il vero valore dei soldi in una società emotivamente disastrata in cui lei è tra le poche a esserci nel momento dell’altrui bisogno?) e un po’ perché con quelle risorse può pagare le lezioni di piano del promettente nipotino. Tutto sembrerebbe andare liscio, finché i furti vengono a galla.

La gazza ladra è l’ennesimo capitolo di una commedia umana in cui i sentimenti non prescindono della politica e viceversa e, va da sé, andrebbe letto all’interno di un’opera coerente e omogenea in cui si ritrova il consueto comparto di collaboratori. La sceneggiatura scritta con Serge Valletti tiene conto delle relazioni umane dentro un contesto preciso, la luce marittima di Pierre Milon è solare senza mitigare i contrasti, il montaggio di Bernard Sasia è disteso fino a farsi rilassato, le presenze di Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan – che con Ascaride sono le icone e i feticci del cinema di Guédiguian – sono rassicuranti e generose, così come quelle di interpreti che fanno parte della famiglia o del collettivo da meno tempo (Robinson Stévenin, Grégoire Leprince-Ringuet, Alice Da Luz).

La triangolazione tra commedia sentimentale, dramma familiare e spaccato sociale restituisce il senso di un cinema che non si imbriglia nelle secche del film a tesi: La gazza ladra non è l’apice di Guédiguian e forse il regista dà il meglio quando allarga il respiro e legge le piccole vicende attraverso la lente del quadro politico, ma l’apologo si sostiene grazie alla sorridente malinconia attorno al repertorio di illusioni e debolezze.