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Luna Wedler e William Vonnemann in La fossa delle Marianne
È uno spazio della – anzi: nella – mente, la fossa delle Marianne: il punto più profondo della terra, l’abisso per antonomasia, l’epitome del buio. È lo spazio del lutto, quel momento della vita che, avendo a che fare con la morte, più somiglia a una camera oscura, a uno sconfinamento nell’irrazionale, nell’onirico, nell’incorporeo. Eppure questo slittamento è solo un pezzo dell’opera prima della lussemburghese Eileen Byrne (già apprezzata cortista da festival, specializzata in ruoli femminili lontani dai cliché e storie d’atmosfera), tratta dal bestseller della biologa e scrittrice tedesca Jasmin Schreiber.
La fossa delle Marianne è correlativo oggettivo del profondo dramma che sta vivendo una giovane incapace di riprendersi dalla morte del fratello, così come lo è per un anziano che sta imparando a fare i conti con la scomparsa della moglie. Quando lei, una notte (il buio, ovviamente, conta), incontra lui che sta portando a Trieste l’urna cineraria della cara estinta, ecco che si comincia a vedere un po’ di luce: se è vero, come dice un proverbio svedese, che un dolore condiviso è un dolore dimezzato, questi due personaggi sprofondati nel lutto riescono a riemergere, piano piano, grazie a un’amicizia inaspettata quanto benedetta.
Riconoscersi l’una nel dolore nell’altro come occasione di rinascita è il valore su cui si edifica questo sobrio racconto in levare, che si mette accanto ai personaggi nel commovente tentativo di riemergere dal baratro. Byrne ha la misura dell’empatia, abbraccia la tenerezza per sfiorare l’umorismo, osserva il cielo che si riflette nell’acqua per trovare la trasparenza del gesto, la limpidezza dello sguardo, il nitore di un fraseggio che si scopre imprevedibilmente confidenziale.
E trova un ritmo compassato nell’accordarsi ai cuori che si fermano e riprendono a battere, nei corpi che sopravvivono alla cenere, nelle tempeste che devono lacerarci per offrirci la possibilità di una ricostruzione. A garantire equilibrio, credibilità e sensibilità del road movie, le prove di Luna Wedler e del navigato caratterista Edgar Selge e la fotografia rarefatta di Petra Korner.