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La felicità è un sistema complesso
Otto anni dopo il “fenomeno” Non pensarci (diventato poi anche una serie tv), Gianni Zanasi torna dietro la macchina da presa per seguire le gesta di Enrico Giusti, insolito “tagliatore di teste” che avvicina dirigenti incompetenti e irresponsabili: li frequenta, ci diventa amico, e li convince ad abbandonare la nave prima che le aziende falliscano, evitando così il licenziamento di numerose persone. Sarà il prossimo caso, però, insieme all’incontro/scontro con la fidanzata israeliana del fratello minore, a minare progressivamente le sue certezze.
Zanasi torna a puntare su Mastandrea per portare avanti la sua idea di cinema scanzonato-riflessivo, fluttuante-musicale: “Da regista sogno una platea che si alza e si mette a ballare tutta insieme mentre continua a guardare il film”. E allora si spazia dai Nouvelle Vague (con la celebre cover di In a Manner of Speaking) ai Dead Can Dance di Children of the Sun, oltre all’apporto originale di Niccolò Contessa (I Cani): immagini, ralenti e suoni sovrastano il racconto, Mastandrea ne diventa giocoforza l’estroso frontman, il senso di estraneità della Yaron (La sposa promessa) aumenta anziché decrescere: poteva essere zuppa, invece è pan bagnato. E viceversa.