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La felicità degli altri: Vincent Cassel, Bérénice Bejo, Florence Floresti, François Damiens
Le differenze culturali passano attraverso il cinema. In Francia il grande schermo continua a parlare di editoria, mentre dai noi le storie su promettenti scrittori scarseggiano. Oltralpe troviamo titoli come Il mistero Henri Pick di Rémi Bezançon e il bellissimo Il gioco delle coppie di Olivier Assayas. Spesso si utilizzano i toni della commedia. La felicità degli altri di Daniel Cohen, con le dovute proporzioni, segue il modello di Assayas, e ne crea un’immagine speculare. In Il gioco delle coppie si parlava di editori, del passaggio dalla carta al digitale. Qui invece siamo alle origini del processo creativo, con un giovane talento pronto a spiccare il volo.
La struttura è ancora quella del gioco a quattro. Vincent Cassel è un uomo d’affari focalizzato sulla propria carriera. Vende alluminio, e cerca di resistere ai continui assalti dei cinesi. Bérénice Bejo, sua moglie, lavora in un negozio di abbigliamento, e sta per pubblicare un libro. Dall’altra parte c’è una coppia di amici composta da Florence Foresti e François Damiens. Lei vuole essere la migliore in tutto, lui è alla ricerca di una passione. Il titolo originale del film è Le bonheur des uns... (La felicità di alcuni…), ma da noi è stato tradotto con La felicità degli altri, come il romanzo di Carmen Pellegrino. Quella raccontata dalla Pellegrino era una vicenda di fantasmi, di solitudine, qui invece l’atmosfera è più leggera.
Si punta sui sorrisi sofisticati (“Bambini, papà ha appena composto un alessandrino!”), sull’ironia borghese, con uno spirito decisamente provocatorio. La “felicità”, come viene detto fin dall’inizio, non ci appartiene, perché è “degli altri”. Allontanando quindi la favola, il sogno, c’è subito una barriera, che spinge a reagire. Partendo da questo presupposto, il film si interroga sulla sincerità dell’amicizia, invitando a togliersi la maschera, ad abbandonare l’ipocrisia.
Vincent Cassel, Bérénice BejoInvidie e gelosie sono all’ordine del giorno, e danno vita a simpatici siparietti. Ma scavando più in profondità, è interessante analizzare come il personaggio della Bejo abbia iniziato a scrivere: osservando le persone.
All’interno del centro commerciale, viene a contatto con umanità diverse, che la incuriosiscono e la intrigano. Ognuno diventa parte di una narrazione più ampia, che approda su carta. La felicità degli altri non è solo incentrato sui sentimenti, come potrebbe sembrare, ma si sofferma anche sull’atto del guardare, su che cosa significa essere spettatori attivi ogni giorno, in qualsiasi situazione. Si ribaltano le gerarchie, si trovano nuovi punti di vista.
Cohen non è Assayas, s’intende, però capisce l’importanza della parola, del dialogo. Approccia l’arte non come un’industria, ma uno sfogo, una pulsione, anche se passeggera. Damiens passa dall’essere un musicista al fare sculture, senza dimenticare la cucina e anche la cura dei bonsai. L’ironia è la vera protagonista, in una Parigi silenziosa, che assiste senza scomporsi alle follie dei suoi abitanti. In una delle prime sequenze i quattro non sanno decidersi sulla scelta del dessert, e fanno impazzire un cameriere, che però non perde mai il controllo. È l’altra faccia della Bejo, che con il suo essere passionale scopre la via per rielaborare la propria identità.