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Philip Seymour Hoffman
con Laura Linney
Il nuovo mondo invecchia. E diventa anche un po' demente. A Sun City, Arizona, si consuma uno dei tanti casi di marginalità esistenziale ed anagrafica. La torrida provincia archiviata dalla middle-class intellettuale ("Non siamo in una commedia di Sam Shepard") è di certo il miglior luogo per ottundere le coscienze e segregare quella parte di umanità ormai "ingombrante". Come Lenny Savage (Philip Bosco), anziano genitore di due gemelli 40enni, affetto da demenza senile e dunque bisognoso di cure full time. Ingabbiati da anni tra le sbarre dell'egoismo difensivo, Wendy da Manhattan (strepitosa Laura Linney, candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista) e Jon da Buffalo (altrettanto Philip Seymour Hoffman) scendono riluttanti in Arizona al recupero del padre, che alcune contingenze non possono più trattenere nel residence in cui era ospite. Si riunisce così La famiglia Savage, ovvero il secondo lungo di Tamara Jenkins (nomination anche per lei, alla miglior sceneggiatura originale), già apprezzata ne L'altra faccia di Beverly Hills. Emanazione del Sundance e in preview nazionale a Torino, il film è il classico anti-glam indipendente, low budget e marcato Fox Searchlight, timbro di crescente successo (Little Miss Sunshine, Juno). Solido di interpretazioni e scrittura (sceneggiatura pluripremiata), pungola il micromondo dei fragili legami familiari facendosi rilevatore della libera caduta (etica) dell'impero americano. Alexander Payne, vate dell'America opaca e secondaria, ci ha messo mano, e si sente.