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Come mostrare il dolore dell’attesa, lo strazio di una guerra? Ne La donna dello scrittore, Christian Petzold portava il conflitto mondiale ai giorni nostri, lo attualizzava. Come se l’unico modo per capire fosse traslare la Storia, rievocarla nel presente. Invece il regista Emmanuel Finkiel lavora sulle parole.
Con La douleur gira un film in costume, resta nel 1945. Si ispira all’omonimo romanzo autobiografico di Marguerite Duras, lo trasforma in un racconto per immagini. La voce fuoricampo ne legge alcuni passaggi, lo sguardo dello spettatore si fonde con quello della protagonista, mentre vaga per le strade disperata.
Per Finkiel è impossibile calarsi in quegli anni senza la testimonianza di chi li ha vissuti: le pagine della Duras sono onnipresenti. “D’ora in poi scriverò tutto, voglio costruire un diario”, spiega Marguerite.
Vita e inchiostro, memoria e tragedia. Lei aspetta il ritorno del marito dai campi di concentramento. Invece Marie, la bella de La donna dello scrittore, il suo amato lo cercava ovunque, in ogni volto, per tutta Marsiglia.
È una perdita degli affetti che spinge verso la follia. Le due in qualche modo sono figure speculari, imprigionate dalla violenza, dalla solitudine. La douleur analizza l’angoscia, mette in scena una discesa verso l’oscurità. Con una musica straniante, e le ombre che avvolgono il viso della giovane sposa. E poi le scale, quelle hitchcockiane, da cui Marguerite si affaccia, nella speranza di rivedere una forma amichevole. Il cinema che si fa portavoce delle pene, delle ambiguità (la relazione con il migliore amico), i paradossi (l’attrazione per il soldato tedesco).
Così prende forma una sorta di coscienza comune, un’anima del mondo, un amore ai tempi dell’occupazione. Dove le figure in secondo piano si fanno sfocate, come se Marguerite non potesse sopportare altro dolore.
Intanto il 1945 volge al termine, si chiude un’epoca. Ma il suo sguardo resterà sempre lo stesso: appassionato ma distante, sofferente ma sognatore. Struggente.