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In un mondo in cui si suppone che esista l'invisibilità psicosomatica, ecco infanzia e adolescenza di Roberta (che ha bisogno di attenzione, altrimenti scompare) e di Massimo che, al contrario, diventa ansioso se sente attenzione su di se e scompare. Dopo varie vicende i due si ritrovano a Roma, dove vivono e lavorano. Seguono altri inciampi, equivoci, timori sulla strada della rivelazione dei reciproci sentimenti.
Nato a Verona nel 1966, figlio del critico cinematografico Stefano Reggiani prematuramente scomparso, Pietro dirige nel 2007 L'estate di mio fratello, film d'esordio. Nel 2009 fonda la Adagio Film che mette in cantiere questo titolo. Il rischio che il soggetto scelto possa essere rapidamente preso come metafora su una difficoltà ad affrontare la vita era palese e in effetti non viene evitato: lo scomparire come gesto estremo per ribellarsi a quelle paure, a quei tremori che bloccano il respiro e impediscono di vivere con leggerezza o per sparigliare le carte e creare scompiglio. Il copione affronta queste difficoltà con misura e delicatezza, con un approccio gentile e delicato che comincia dall'infanzia e segue tutti i successivi mutamenti anagrafici: adolescenza, scuola, università, lavoro, permanenza a Roma, i genitori, i rapporti affettivi e di coppia.
Girato nell'estate del 2012 e a lungo rielaborato nel montaggio, il copione di La dolce arte di esistere trasmette alla fine un sensazione di smarrimento dapprima un po' confusa e poi via via più compatta e solida. Roberta e Massimo si muovono nel mondo come farfalle che vogliono continuare a vivere e ad essere presenti, piuttosto che 'scomparire'. Trasmettono una 'sensazione' di vita fatta di emozioni,impacci, desiderio di stare con gli altri. Diverso in questo, il copione, dal quasi contemporaneo (e penalizzante) titolo Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores. Reggiani regala ai due protagonisti uno sguardo tenero, indifeso, pulito e acuto che consente loro di essere insieme 'fuori' e 'dentro' la realtà che vivono. I problemi giovanili, i rapporti con famiglia, lavoro, amore sono tanto profondi quanto affrontati con pudore e ironia. Ne deriva un film insolito e inatteso, una sorta di viaggio nel tempo pieno di contraddizioni e lacerazioni nel tessuto narrativo che fanno lirismo e poesia insieme. Dentro due ruoli non semplici si muovono bene, offrendo verità e credibilità, Pierpaolo Spollon (Massimo), e Francesca Golia , una Roberta divisa tra tentazioni oniriche, scontro con la realtà, desiderio di amare.