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Nostalgia della luce: i corpi celesti che sovrastano i resti dei cadaveri nascosti. La memoria dell’acqua: il mare che riscatta, sineddoche della natura. E ora la terra ovvero le Ande de La cordigliera dei sogni, con cui il cileno Patricio Guzmán conclude la trilogia cosmologica sulla memoria del suo popolo devastato dalla dittatura di Pinochet.
“L’evidente necessità del ricordo” – come si diceva in Hiroshima mon amour – è il cuore di una struggente opera-mondo, stratificata e didattica nel senso più alto, che riflette su spazio e tempo: l’infinitamente piccolo dell’uomo si oppone all’infinitamente grande della natura. Nessuno come il quasi ottantenne maestro Guzmán – che ha abbandonato la madrepatria dopo il golpe del 1973, senza mai tornare a viverci – sa raccontare in modo così universale il dolore senza fine di una terra ferita a morte.
Guzmán continua la sua potente riflessione incardinata sulla responsabilità civile e morale di chi è sopravvissuto e sente il dovere di restituire ciò che è stato a chi è arrivato dopo, dando voce ai morti attraverso il racconto dei superstiti.
Come Pablo Salas, filmaker militante che non ha mai smesso di girare, tra i testimoni più memorabili di questo terzo capitolo che si concentra sui segreti della cordigliera.
“È un grande mistero – sentiamo da uno degli intervistati – perché non dimostra mai la sua essenza”: a causa della sua struttura che tutto chiude, sembra preservare la vergogna dei cadaveri occultati, proteggendo i colpevoli dagli occhi del mondo fuori. E se le rocce potessero parlare – riflette il regista fissando le pietre d’inciampo che ricordano i desaparecidos – parlerebbero del sangue che ha inondato un’intera nazione.
Forse meno lacerante rispetto ai precedenti titoli (specie il primo, capolavoro del cinema del reale e della memoria), ma è sempre difficile non restare dentro questa storia che stavolta, nel finale, lascia uno spiraglio: e si torna al cielo, ai meteoriti che annunciano desideri. Un’utopia: quella che il Cile recuperi l’innocenza e l’allegria.