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La città incantata
Dopo Principessa Mononoke e in attesa di Si alza il vento (nelle nostre sale a settembre), torna al cinema per tre giorni La città incantata (25, 26 e 27 giugno), la pellicola del 2001 che l'Orso d'oro a Berlino e l'Oscar come Miglior film d'animazione hanno incoronato quale capolavoro assoluto di Hayao Miyazaki.
Oggi il termine “capolavoro” viene citato così spesso (e a sproposito) da risultare quasi molesto, ma in che altro modo si possono definire le vette che il regista riesce a raggiungere, soprattutto se si parla del film che rappresenta forse l'apice creativo dell'universo miyazakiano?
In un fulgido caleidoscopio d'invenzioni visive, fondali mozzafiato e sequenze di pura poesia, dolcemente accarezzate dalle musiche del fido Joe Hisaishi, il regista rilegge il classico viaggio dell'eroe (o meglio, dell'eroina, un'Alice nel paese shintoista delle meraviglie) come percorso di crescita non attraverso allegre avventure, bensì il duro lavoro. Tuttavia la vera sfida della piccola Chihiro, obbligata a fare la sguattera in un bizzarro stabilimento termale riservato agli spiriti per salvare se stessa e i propri genitori (tramutati in maiali da una potente maga), non consiste solo nell'affrontare difficoltà sempre maggiori o nel vincere le proprie paure, ma nel maturare psicologicamente mantenendo intatta la purezza interiore.
Una parafrasi dell'utopia auspicata da Antoine de Saint-Exupéry: diventare grandi senza scordarsi di essere stati bambini, emanciparsi senza cancellare l'innocenza e, insieme, comprendere a fondo la potenza salvifica dell'amore. Sebbene il film sia colmo di messaggi tesi a risvegliare la coscienza collettiva (dal monito ambientalista alle critiche contro la cieca avidità), non aspettatevi nessuna morale facile o banale. Il sensei Miyazaki ha troppo rispetto per l'intelligenza del suo pubblico per spiattellargli sotto il naso ciò che gli sta più a cuore. Preferisce affidare alla sensibilità individuale il compito di filtrare la cortina magica che avvolge la pellicola, lasciando che ogni età colga un diverso aspetto del cuore multiforme che pulsa sotto La città incantata. E quando il senso di meraviglia si dissolve insieme ai titoli di coda, i ragazzi continuano a sognare a occhi aperti draghi, spettri salterini e treni sull'acqua, mentre i più grandi avvertono una fitta al petto, simile al dolce dolore che sopraggiunge nel ripensare con nostalgia a un passato che sembrava non terminare mai e che, una volta finito, manca terribilmente.
Chi ancora si limita a definire Miyazaki “il Kurosawa dell'animazione” dovrebbe ricordare le parole del grande Akira: “So che talvolta lo paragonano a me. Mi dispiace per lui perché lo abbassano di livello.”