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Josh O'Connor in La chimera di Alice Rohrwacher
Un domani si parlerà del "cinema di Alice Rohrwacher" come oggi facciamo riferendoci ai maestri che furono, racchiudendo in quel "il cinema di" l'idea di un universo iconico e riconoscibile, capace di suscitare rimandi non solamente "visivi" ma anche appigli inerenti gli altri sensi. Un cinema di terra e polvere, di natura e vuoto, popolato da personaggi fatti di carne e anima, sbilenchi ma veri, radicati eppure errabondi.
Proprio come in Lazzaro felice - il suo precedente lungometraggio, al quale hanno fatto seguito i corti Omelia contadina, Quattro strade e il candidato all'Oscar Le pupille, con in mezzo il doc Futura, diretto insieme a Francesco Munzi e Pietro Marcello - ritornano in La chimera gli echi di una poetica cittiana e l'esplorazione fanciulla di un mondo, quello della Tuscia e delle lande tirreniche (location tra Tarquinia, Blera e il sud della Toscana) circondate da centrali elettriche che, ancora una volta, fanno da geografia filmica ad una storia che - direttamente o meno - fa parte dell'immaginario d'origine della regista nativa di Fiesole, in Toscana, ma cresciuta a Castel Giorgio, nella campagna umbra.
"Nel luogo in cui sono cresciuta capitava spesso di ascoltare storie di segreti ritrovamenti, di scavi clandestini e di avventure misteriose. Bastava restare in un bar la sera tardi, o fermarsi in una fraschetta di campagna per sentire di quel tale che col trattore aveva scoperchiato una tomba villanoviana, o dell’altro che scavando di notte vicino alla necropoli aveva rinvenuto una collana d’oro così lunga da poter circondare una casa, e dell’altro ancora che era divenuto ricco, in Svizzera, vendendo un vaso etrusco che aveva trovato nell’orto. Storie di scheletri e fantasmi, di fughe e di oscurità".
Inseguita da chiunque, sotto varie forme, la Chimera è tanto quella di chi scava per un guadagno facile quanto quella di chi - Arthur, interpretato da Josh O'Connor (il principe Carlo da giovane in The Crown) - attraverso un dono soprannaturale (percepisce il vuoto della terra nella quale si trovano le vestigia di un mondo passato) diviene strumento e capo di questa banda di tombaroli, ma vorrebbe ritrovare il viso e il corpo di un amore - Beniamina (Yile Vianello) - strappato alla vita chissà quando, chissà dove.
"Non sei fatta per essere guardata dagli umani".
Alice Rohrwacher si interroga dunque su quella costante sospensione che tiene legate la vita e la morte, il presente e il passato, epoche remote ancora custodite in un sottosuolo che anziché essere protetto viene lasciato alla mercé del progresso (le fabbriche che sorgono sopra vari siti archeologici) e dei profanatori, piccoli predatori convinti di svoltare le proprie esistenze con quelle che considerano nulla più che anticaglie, in realtà prede di predatori ancora più famelici, i trafficanti d'arte nascosti dietro nomi mitologici ed eleganza ruffiana (Alba Rohrwacher).
Ambientato negli anni '80, il film (che riporta la regista di Corpo celeste e Le meraviglie in concorso a Cannes, sarà ancora una volta in palmares?) è sì incentrato sulle peripezie di questi tombaroli (che come ricorda il cantastorie Valentino Santagati altro non sono che "una goccia nel mare") ma accarezza anche l'evoluzione del personaggio di Italia (Carol Duarte), altro personaggio (straniero) che arriva da chissà dove, aspirante cantante, di fatto serva di un'andante matrona (Isabella Rossellini, meravigliosa), contornata da innumerevoli figlie pettegole e materiali.
Nel passaggio dalla morte alla vita rientra anche una stazione dimenticata, quella di Riparbella (nella Val di Cecina) - "non è di nessuno, quindi è di tutti", che proprio Italia finirà per trasformare in una sorta di comune femminista: ecco, se proprio bisogna trovare dei limiti a questa Chimera è nella discontinuità tra sospensione e dichiarato, tra la magica grana di un 35mm e il "fuoco" di immagini rubate da una 16mm amatoriale (decisiva, come sempre, la fotografia di Hélène Louvart) contrapposti a qualche flebile didascalia (la scenata della stessa Italia durante lo scavo notturno in riva al mare, dopo la festa contrappuntata dal Tango delle capinere...), ma anche qui siamo di fronte all'inevitabile discrasia che non può non manifestarsi laddove in ballo c'è la vita, che proprio "rubando" alla morte cerca in qualche modo di sopraffarla.
Se Lazzaro felice raccontava dunque il passaggio tra il primo e il secondo medioevo, “tra un medioevo storico e un medioevo umano”, questa volta Alice Rohrwacher ragiona sul chimerico equilibrio che ogni giorno tentiamo di stabilire tra l'esistente e l'esistito, tra il visibile e l'invisibile. Fino a quando non riusciremo a rintracciare quel filo rosso che ci unisce per sempre. Con Gli uccelli di Battiato a sorvolare.
"Agli archeologi di tutto il mondo, custodi di ogni fine".