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La chambre bleue
“Sul serio, Julien, se improvvisamente fossi libera, ti libereresti pure tu?” – “Ripeti?”. Se vi ricorda qualcosa, avete ragione: l'eterno Simenon, adattato – e attualizzato – per l'ennesima volta al cinema, stavolta da Mathieu Amalric, regista, interprete protagonista e cosceneggiatore. Nella sterminata produzione simenoniana, ha scelto un classico, La chambre bleue, che ora gareggia nella sezione Un Certain Regard.
Julien ha una moglie, Delphine (Lea Drucker), e una figlia, ma si vede con una vecchia amica, Esther (Stephanie Cleau), che ha sposato il ricco farmacista del paese: tra i due è passione, sesso, morsi, amore che viene e che rimane nella camera blu di un hotel del paese. Incontri come se non ci fosse un domani, un asciugamani rosso come segnale per il rendez-vous, ma può durare, soprattutto, con gli altri, il marito e la moglie, come la mettiamo? Amalric aderisce alla lettera simenoniana, mantenendo dall'inizio alla fine, dall'indagine al processo il focus su Julien e la sua “padrona” con l'ambiguità, il sospetto, il vero/flaso per ineludibile filtro. Non c'è nitidezza, non c'è bianco e nero, ma il blu della camera è un prisma in cui verità e menzogna, soggettiva e oggettiva si fondono come i corpi dei due amanti, che nemmeno il destino giudiziario potrà separare.
La collocazione al Regard non fa una grinza, un piccolo film che mantiene quel che promette, con qualche ghirigoro di regia nei close-up, ottimi interpreti e la miglior traduzione possibile di Simenon: l'attualità, pardon, l'eternità. Quella degli umani moti, sangue e passione.