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Scariche di terrore, demoni e valanghe sonore, corpi mozzati e alluvioni di sangue, forzature di sceneggiatura, bambine adulte e viceversa, personaggi prismatici e figurine, thriller e horror, survival movie e bildungsroman, il mito e il cinema, il post Covid e l’anti-familismo, Medea e Dario Argento.
C’è tutto questo in La Casa – Il risveglio del male. Centrifuga adrenalinica e sbudellante di Lee Cronin (opera seconda dopo Hole – L’abisso) che prosegue la saga targata Sam Raimi (qui in veste di co-sceneggiatore), giunta al quinto capitolo in poco più di quarant’anni, con tanto di teaser premonitore ad avvertirci subito che non è finita qui.
Pronti via, infatti, su uno chalet in riva al lago ecco uno scalpo e una testa sgozzata da una ragazza posseduta. Ma con uno stacco siamo scaraventati in città. È notte, fuori diluvia, una scossa si abbatte nel condominio cascante dove vivono Ellie (Alyssa Sutherland), madre tatuatrice abbandonata dal marito, Danny (Morgan Davies) adolescente che sogna di fare il dj, Bridget (Gabrielle Echols) la sorella attivista climatica, Kassie (Nel Fisher), la sagace sorellina sgozza-bambole. Nel lugubre appartamentino presto arriva anche Beth (Lily Sullivan). Groupie insicura e solitaria, rimasta incinta, bussa dopo tempo alla porta della sorella maggiore in cerca di conforto.
Intanto, il terremoto ha spalancato nel garage un’oscura voragine. Danny, lì con le sorelline, ci si cala subito. Tra teschi e crocifissi, scopre vecchi giradischi impolverati e un arcano manoscritto. È il momento della fuoriuscita dei demoni: libro aperto sulla scrivania e dischi in funzione, la prima a finire posseduta è Ellie che in un amen muore e risorge con un’unica missione: sterminare la famiglia. Beth, però, è assolutamente impreparata a fronteggiarla. Figuriamoci a salvare i suoi figli dal matricidio. Solo che gli indemoniati, dentro e fuori l’appartamentino, si moltiplicano, il sangue comincia a scorrere a fiotti, i vicini si rivelano inaffidabili, così deve smettere la maschera di agnellino sacrificale per trasformarsi in una Tomb Rider spietata e ferina: entra nel film massaggiandosi il ventre, ne esce col fucile in mano.
Cronin e Raimi “i femministi”, infatti, scoprono subito le carte in tavola: scritturano maschietti boriosi, maldestri, impreparati, addirittura – come Danny - fautori dell’ecatombe. La fiducia è tutta nelle donne, chiamate a mostrare i muscoli e frenare la spirale di sangue. Anche se non si sentono all’altezza del compito. Anche se all’inizio sembrano maschere in balia di cliché. Perché, d’accordo, mamma Ellie, come poi Danny e Brigdet, è subito ghermita dal Male, ma non Beth e nemmeno la piccola Kassie, spaventata e piagnucolosa come vuole la sua tenera età, ma che di fronte all’Armageddon si scopre resiliente e (molto) più matura di quanto non ci si aspetti.
La strana coppia zia-nipotina, dunque, diventa l’asse nevralgico attorno al quale Cronin sviluppa un horror solido, viscerale a più non posso e nostalgico senza apparire devozionale.
Niente più puntate da commedia nera, tra frustate di ritmo e momenti di risacca, tra un primo atto di attesa e gli altri due tutto sangue, brividi e fucili, Cronin pesca dal mito classico, attualizzandolo in senso anti-familista: Ellie, questa orripilante Medea del Duemila, antropofaga e vendicativa, è il megafono con cui ci urla a chiare lettere che non crede nella famiglia, non crede nel nido matrimoniale, non crede nella stabilità affettiva, non crede nella solidarietà sociale. Spariti i sentimenti, i figli o si mangiano o si abbandonano.
La fedeltà all’immaginario del genere, la cruenza visiva, l’esiguità dei dialoghi, la claustrofobia di ambienti e piani visivi, infatti, serve proprio a mandare a gambe all’aria l’assunto guida dei tempi pandemici: la salvezza per Beth e Kassie non è dentro, ma fuori. Fuori dalla famiglia, fuori dalla casa, fuori da questa stamberga infestata, fuori dal condominio riempito di cadaveri e assalitori, fuori dal garage che sputa mostri, fuori dalle paure e dall’insicurezza dell’età.
Cronin, così, dissemina lo spazio di citazioni, stracult, omaggi e topoi del genere, prendendosi tutte le licenze narrative che può fino alla virulenta spirale finale per far stagliare sull’oceano di sangue, le sue due eroine che cercano salvezza tra carezze e seghe elettriche.
Bastano, così, una ragazza incinta e una bambina senza più famiglia a confermare il principio primo di ogni horror (e dei prossimi capitoli della serie): l’inarrestabilità del Male, la necessità del Bene.