I parenti erano serpenti già nel cinema di Monicelli, che nel 1992 riuniva una famiglia esplosiva a Sulmona, per un Natale con omicidio annesso. Il regista Augusto Fornari non osa spingersi fino a quel limite ma, nella sua opera prima La casa di famiglia, racconta una storia di padri e di figli, di fratelli colpevolmente ingenui che scelgono il denaro al posto degli affetti. Non stiamo parlando di una commedia drammatica, ma di una vicenda leggera, che troppo spesso eccede nei toni e rischia di trasformarsi in un carosello mal assortito.

I protagonisti sono Alex, Oreste, Giacinto e Fanny, quattro fratelli dal cuore buono che ormai si sono affrancati dalla vita famigliare. Alex gestisce un circolo di tennis, Oreste è un direttore d’orchestra e compositore fallito, Giacinto è un uomo d’affari in carriera, che non riesce a rapportarsi con gli altri senza guardarli con sufficienza, e infine Fanny ha un negozio d’abbigliamento, ma si dispera dal mattino alla sera per il suo amore perduto. Matteo, il suo ex, l’ha lasciata per una donna più giovane, e ha aperto un’enoteca davanti al posto di lavoro della sua vecchia fiamma.

Tutti e quattro sono cresciuti nella villa di famiglia, una splendida dimora con bosco e piscina incorporati. La madre è morta, il padre Sergio è in coma da cinque anni, così lo sciagurato quartetto decide di vendere la casa per saldare i debiti di Alex, il “matto” del gruppo che non smette mai di creare problemi. Poi l’impossibile diventa realtà: Sergio si sveglia subito dopo la firma del contratto, e i medici gli raccomandano di tornare alla sua vita di prima, senza particolari scossoni. I figli non hanno il coraggio di rivelargli la verità e organizzano una farsa per nascondere la loro malefatta.

La casa di famiglia nasce come uno spettacolo teatrale di successo, completamente ambientato tra le quattro mura di un salotto. Fornari esce all’aperto per dare più respiro alla storia, ma esagera con la musica a tutto volume e i sentimentalismi. Si ride poco e si riflette ancora meno, mentre zingari di dubbia provenienza e badanti russe dal passato torbido complicano solamente le cose. Senza dimenticare la suora dell’ospedale che rimprovera i visitatori per il linguaggio scurrile e poi stupisce con altrettanta volgarità.

 

L’obiettivo era quello di raccontare una burrasca all’ombra del focolare, in cui i fratelli non si sopportano più e i genitori hanno fatto il loro tempo, ma si salva solo qualche gag. La migliore è quando Stefano Fresi s’improvvisa gitano per le scale, con un comodino in mano e una sigaretta in bocca. A quel punto scappa un sorriso, ma rimane l’amaro per l’occasione persa.