Bravo Luca Zingaretti, che esordisce alla regia - dopo l'apprendistato TV in Montalbano - con La casa degli sguardi, liberamente tratto dal libro omonimo di Daniele Mencarelli.

Forse non ha ancora uno sguardo, per dirla col titolo, ma di certo il suo passaggio dietro la macchina da presa avoca a sé un domicilio affettivo, una residenza umanista, un habitat umano, troppo umano: racconta l'alcolismo di un ragazzo, e lo fa sommessamente ma assertivamente, senza condanna né pornografia, senza iperbole né - insomma, forse un filo - volemose bene.

Qualche simmetria e analogia con Si può fare di Giulio Manfredonia, la riuscita sta nella scelta e nella direzione degli attori, che sanno dare vita e verità ai propri personaggi: Luca intesta a Gianmarco Franchini (rivelato in Adagio di Stefano Sollima) Marco, il poeta col gomito alzato e la penna in resta contro il mondo, del quale si riserva il ruolo del padre, vicino quanto impotente. E non sbaglia.

Dopo l'ennesimo guaio, un incidente, Marco trova riparo coatto in una cooperativa di pulizie impiegata al Bambino Gesù di Roma: ha un filarino, o forse più, con Paola (Chiara Celotto), trova comunione nel più maturo Giovanni (Federico Tocci), qualche sintonia col buffo Luciano (Riccardo Lai).

Sopra tutto, si scava non la proverbiale fossa, ma una seconda possibilità: già, Marco non esce dal tunnel, ma entrando in quel gruppo eterogeneo di colleghi diversamente e uniformemente vinti prova a scavarsene un altro, più a misura del giovin uomo che è, senza rinunciare all'alcool. È una transizione non definitiva né clamorosa e tantomeno risolutoria, ed è questione di sfumature, contraddizioni, ricadute e, chissà, speranza: se non la nave, finché il tram - guidato dal padre – va. Nottetempo, verso l'alba di un girono migliore - o addirittura l'alba di una nuova vita.

Zingaretti, che scrive a sei mani con Gloria Malatesta e Stefano Rulli, aderisce alla parabola alcoolica e vieppiù esistenziale di Marco tenendo altresì la giusta distanza: c'è, la sua camera e - esageriamo - il suo cuore, ma senza interferire, senza distogliere il giovane dalla strada e dal bancone che (non) s'è scelto. Una figura, oltre al padre che si riserva, dice di questo intento poetico, e intenzione ideologica, ed è il barista di cui Marco è abituale e smodato cliente: non è uno stronzo, lo capiamo da come interagisce con gli altri avventori, eppure asseconda sempre le ordinazioni del ragazzo. Che è l'unico che può decidere per sé - e di sé.

Implicito coming-of-age, dramma sulle dipendenze, dramedy sociale con esternalità ospedaliere, La casa degli sguardi è un onesto, dignitoso e promettente esordio, presidiato da eccellenze tecnico-artistiche (Maurizio Calvesi alla fotografia, Michele Braga alle musiche) e valorizzato dalla ragione e dal sentimento tanto di Mencarelli quanto di Zingaretti, che si prova maturo, sensibile e provvisto.

In anteprima alla XIX Festa del Cinema di Roma, arriverà in sala a primavera 2025: una dilazione su cui non ci esprimiamo, che è meglio.