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La timida e riservata Eve lavora come cameriera in un hotel di lusso a Città del Messico. Le richieste dei facoltosi ospiti, spesso bislacche e pretenziose, non fanno che sottolineare il divario socioeconomico tra inservienti e clienti.
Con il sogno di lavorare ai piani alti, dove vi sono le suite esclusive, la ragazza si iscrive al programma di formazione per adulti offerto dall’albergo, sperando sia di ottenere una promozione sia di emanciparsi da una vita mediocre.
Per il suo debutto nel lungometraggio (girato in diciassette giorni), Lila Avilés ha messo a frutto la lunga esperienza teatrale. La camarista, infatti, si ispira a una pièce già portata sul palcoscenico dall’attrice e regista.
All’origine, c’è il libro Hotel della fotografa e visual artist Sophie Calle, frutto della sua esperienza come cameriera in un hotel a Venezia. Come una spia, Calle fotografò tutti gli oggetti, i rifiuti e i vestiti che gli ospiti lasciavano nelle loro stanze, comprendendo il loro comportamento e personalità attraverso le loro cose. Dalle suggestioni provenienti da quel testo, Avilés ha costruito una storia seguendo la vita quotidiana di alcune cameriere messicane.
Candidato messicano l’Oscar al miglior film internazionale, La camarista potrebbe ricordare Roma. Come nel film di Alfonso Cuáron focalizzato attorno all’umile domestica, anche qui al centro della narrazione troviamo una donna modesta e silenziosa.
L’obiettivo sembra essere quello di analizzare lo stato dell’intera nazione, divisa più che mai tra chi si trova sempre più in alto e può garantirsi tutti i confort e chi può solo aspirare a salire faticosamente un gradino nella scala sociale.
Giocando con la geometria, la regista pone spesso la protagonista in una situazione di isolamento o inferiorità quando la segue sul lavoro. La colloca da sola nell’immagine, quasi lasciando che il design elegante delle stanze sottolinei il suo essere fuori luogo in un posto ostile. Oppure la inquadra dall’alto in un ascensore claustrofobico, mentre un silenzio imbarazzato invade il campo.
Al contrario, nei momenti in cui si trova con i suoi pari, lo sguardo orizzontale mette tutti sullo stesso piano: sta nella forza di volontà la chiave per emergere nella massa, nell’istruzione la possibilità di costruire un’esistenza che non sia subalterna ai più potenti.