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La California
Non serve andare dall’altra parte della luna per avvicinarsi all’America, come cantava Lucio Dalla, perché la California è (anche) sulle rotte emiliane, nel cuore della provincia modenese. Il cartello stradale, quello vero, oggi presenta un “Casale” prima di questo nome così bizzarro, la cui origine non è ben chiara. C’è chi sostiene che risalga a quando cominciò a spargersi la voce che oltreoceano c’era il Nuovomondo, raggiungibile dopo una traversata che durava parecchie settimane.
Una banda di truffatori riuscì a truffare aspiranti emigranti della zona, perlopiù contadini: imbarcati in un convoglio coperto da grossi teli, senza mai uscire da lì, venivano trasportati per molti giorni nelle campagne locali, fino ad arrivare in una landa in realtà poco lontana dal punto di partenza. E lì, in una nebbia che avrebbero dovuto riconoscere, i poveri contadini, convinti di essere arrivati nella terra promessa, venivano accolti da un cartello con la scritta “Benvenuti in California”. Così, sulle basi di questa illusione e di un desiderio mal riposto, nacque un nuovo paese, La California, oggi diventato Casale California.
Il preambolo ci sembra necessario per capire il contesto, le coordinate, gli incanti e i disincanti del terzo lungometraggio di Cinzia Bomoll, che, citando Francesco Guccini, fa incrociare la Via Emilia e il West all’altezza di una storia che accoglie molte, moltissime linee. Quella principale è il rapporto di sorellanza tra due gemelle, Ester e Alice, cresciute in campagna con i diversamente infelici genitori, il padre con look punk che si dedica ai suini (Lodo Guenzi) e madre inquieta che fa i tortellini per il Circolo ARCI (Eleonora Giovanardi).
Attorno a loro una vasta umanità che ha a che fare con i racconti di Stefano Benni, le canzoni degli Skiantos, i fumetti di Andrea Pazienza: il nonno partigiano che passa il tempo a pescare pensando al passato (Andrea Roncato), la barista che non rinuncia al sogno della musica (Angela Baraldi), l’esule cileno che tutti chiamano Allende (Alfredo Castro) con figlio destinato a entrare nel cuore delle gemelle (Riccardo Frascari).
Le vicende tra famiglia e comunità si intrecciano con la storia recente: si parte dalla fine degli anni Settanta, si sente l’eco della bomba alla Stazione di Bologna nelle immagini televisive del 1980, si attraversa il decennio fino alla svolta della Bolognina, si arriva ai Novanta con l’ascesa di Berlusconi. E nel frattempo le gemelle crescono, si innamorano, litigano, cercano un posto nel mondo, finché un evento drammatico rivoluziona gli equilibri (che forse non sono mai stati tali).
Film schietto e diretto, La California si cala nel cuore nero di una terra periferica e per certi versi di frontiera, con le sue morbidezze e asperità, che al netto di scelte non sempre felici (la fotografia dei ricordi dai toni nostalgici, la parte centrale un po’ dispersiva, il coro di maschere forse troppo affollato, il cattivo tagliato con l’accetta) riesce a dialogare con l’umanità di due protagoniste che finiscono per fondersi senza confonderci.
La generosità è indiscutibile, così come l’empatia verso i personaggi e l’adesione al genius loci, e non stona la commistione tra il registro brillante e malinconico e quello più cupo e noir. A far da voce narrante è Piera Degli Esposti (accreditata anche come sceneggiatrice), a cui il film è dedicato, vero valore aggiunto per potenza carismatica e capacità misterica.