Pallido, sporco ed emaciato, Giovanni Velasques ritorna nel suo paese natale, un piccolo villaggio arroccato sulle montagne della Sicilia. Un oscuro trauma che si porta dalla guerra provoca in lui una violenta crisi. A liberarlo da questa sofferenza è una vecchia maara che lo inizia all'arte della magia, rivelandogli di possedere "il dono", lo spirito di un uomo morto con il quale potrà aiutare gli altri. Ben presto l'autorevolezza conquistata dal nuovo mago lo porta a scontrarsi con le altre facce del potere, la chiesa e la mafia.

Intriso di atmosfere gotiche, oscure, come un romanzo di Orazio Labate, questo del siciliano Giuseppe Carleo (classe 1988) è un esordio molto interessante: un racconto sui generis, ambientato in una Sicilia lontana dal folklore, innevata e a tratti fiabesca. Ma di quelle fiabe nere dove si trovano credenze ancestrali, malocchio e stregoneria, ma anche superstizione, violenza, sottomissione. Certo, il chiudersi in un mondo arcaico rischia di essere anche il suo limite, ma Carleo gira bene e lo fa vedere, non scivola per fortuna su inutili barocchismi. Aiutato da un ottimo gruppo di attori, a partire da Maziar Firouzi, il protagonosta Giovanni (che echeggia ereticamente il Johannes dreyeriano).
Finale a sorpresa, che suggerisce un riaggiustamento prospettico.