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La bataille de Solférino
Guillermo Arriaga, presidente della giuria di Torino 2013, nella conferenza stampa di metà festival ha detto che i film passati sino a quel momento avevano tutti impresse le specificità dei paesi di produzione. Insomma per Arriaga e gli altri giurati i titoli erano molto italiani, quelli americani molto americani, quelli canadesi canadesi e via elencando. Affermazione tautologica certo, ma come non farla propria quando si vede un film come La bataille de Solférino di Justine Triet? In effetti contiene molti degli stilemi del cinema d'oltralpe: confine labile tra realtà e finzione, camera a mano, attori caricati a molla perché dicano la loro ben oltre la sceneggiatura. Che di per sé potrebbe anche essere di poche righe, visto che si potrebbe riassumere in lui e lei in lotta per le figlie dopo la separazione.
Lui è Vincent, artista nevrotico violento e nullafacente il giusto, lei è Letitia, giornalista tv di successo. Una storia come tante e una battaglia familiare come se ne vedono purtroppo a migliaia se non fosse che sullo sfondo si sta giocando un'altra partita, quella per la presidenza tra Hollande e Sarkozy. La vicenda occupa infatti l'intera giornata che porterà alla vittoria del candidato socialista, e da privata che è diventa pubblica nel momento in cui Vincent va ad aggredire Letitia proprio mentre segue in diretta le votazioni lungo le strade parigine piene di folla. È tutto sufficientemente francese? Se non fosse abbastanza aggiungete sigarette fumate a volontà, crisi di nervi, birra e qualche citazione su arte e musica. Di maniera? Quel tanto che basta per irritare e finire così con l'inficiare il risultato finale di un film partito da un'idea intelligente.