Omertà, indifferenza, cinismo, egoismo, corruzione, psico-repressione, proibizionismo, moralismo, patriarcato, autoritarismo, familismo. E ribellione.

Due anni dopo l’assassinio in Iran di Mahsa Jina Amini per aver rifiutato indossare il velo, che fece nascere il movimento di protesta “Donna, Vita, Libertà”, arriva in Italia grazie a Cineclub Internazionale La bambina segreta del regista iraniano (di studi italiani) Ali Asgari che si mostra capace di usare la cinepresa come un sismografo con cui registrare arretratezze, derive e slanci di ribellione dell’Iran contemporaneo.
A viverle (e simboleggiarle) è la giovanissima Fereshteh (Sadaf Asgari), giunta a Teheran per studiare e lavorare come tipografa. Da due mesi ha partorito una figlia non riconosciuta da un padre lavativo. I genitori, in arrivo nel suo appartamento la sera stessa, non sospettano nulla della sua maternità. La ragazza, così, s’imbarcherà in una convulsa odissea per la città, al fianco della sodale Atefeh, alla ricerca di qualcuno a cui affidare per una notte la neonata.

Nel 2023 con il meritorio Kafka a Teheran, girato a quattro mani con il fido Alireza Khatami, Ali Asgari allargherà lo sguardo dello stesso pungolo di denuncia civile, allestendo un lucidissimo J’accuse contro una società supina a un Potere orwelliano in dodici episodi di repressione quotidiana; un anno prima con questo film –  presentato nella sezione Panorama al Festival di Berlino 2022 e sceneggiato ancora dalla coppia Khatami-Asgari - la focalizzazione di genere aveva reso l’analisi forse più ristretta ma non per questo meno acuta e pungente.

Dal particolare emerge, infatti, l’universale, dalla questione privata rimbalza quella pubblica, politica. Dietro i rifiuti, le ambasce, le traversie, i sotterfugi, le marce, i patemi, le molestie in crescendo di suspense subite dalle due girovaghe, emerge tutto il corollario di pregiudizi, discriminazioni, restrizioni, violenze che patiscono le giovani madri e donne nell’Iran contemporaneo. 

Alle quali, però, ora non manca più sfrontatezza e coraggio, benché lo spettro del fanatismo aleggi sulle loro vite, il sessismo imperi, il Potere di repressione e imposizione sia tanto più micidiale, quanto invisibile. La denuncia decanta e matura, dunque, in absentia e in crescendo (non c’è religione nel film, solo le conseguenze di certo fanatismo), e lo sguardo di Asgari si fa, allora, simpatetico, desolato, infine speranzoso.

Cinema del reale, dunque, anzi d’irrisione della realtà, d’insubordinazione individuale contro la piovra sociale. Picaresco, sconsolato (almeno fino al finale), accorato, La bambina nascosta è un film d’impianto dialogico nel solco della migliore tradizione realista iraniana. Anche se la sceneggiatura a quattro mani, cruciale per l’economia della storia, nonostante l’involucro fiabesco, alla lunga mostra qualche crepa: i dialoghi imbarcano qualche didascalismo di troppo, mentre potevano essere sfruttati meglio il personaggio-spalla di Atefeh e soprattutto la neonata, sempre stretta al braccio della madre, eppure mai latrice di complicazioni conflittuali. A voler proprio far cantare la frusta si direbbe che una bambina o una bambola di pezza non avrebbero fatto differenza. Ma non di burattini tratta il film, bensì di Stato burattinaio sbertucciato in un finale aperto e ribaldo che difficilmente si dimentica.