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Kishibe no tabi
Tornano i fantasmi, tornano da un’aldilà simile all’aldiqua, tornano perché si sentono – ci sentiamo - soli. Torna Kiyoshi Kurosawa, torna ai suoi temi d’elezione, porta una buona novella.
I fantasmi di Kishibe no tabi (titolo internazionale Journey to the Shore, tratto dal manga di Kazumi Yumoto) non fanno paura. Sono i nostri cari tornati per un saluto, un chiarimento non dato, il tempo di una scusa. Come Yusuke (Tadanobu Asano), il marito di Muzuki (Eri Fukatsu), rientrato a casa dopo un’assenza lunga tre anni. Già morto, ma pronto a un ultimo viaggio insieme a una moglie incredula, ma non troppo. Non c’è da stupirsi del resto, le interferenze tra regno dei vivi e dei morti sono continue, talvolta inavvertite.
Ma devono essere sanate. L’ultimo Kurosawa si apre uno spiraglio chiudendo un portone, quello che separa i due mondi. E’ un invito a liberarsi delle proprie pulsioni nichilistiche, a salutare, dire addio, seppellire i propri morti, ricominciare. Vivere!, come nel film dell’altro Kurosawa…
Dopo Fukushima si può? No, si deve. Kurosawa invita il Giappone a guardare avanti, dall’alto di uno stile mai così controllato, di un sentire sempre vigile ma più quieto, di uno sguardo non a-patico e nemmeno ancora sereno. Il mondo di Kishibe no tabi è solo a tratti grigio, opaco: possibile ora è il colore, la condivisione, un sorriso.
Siamo solo all’inizio. Ma c’è una strada antica e nuova. Un autore ritrovato. E un’altra sorpresa ancora. La prossima, magari, in concorso.