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Kick-Ass
Il primo numero non era ancora arrivato in edicola (correva l'anno 2008) che la sceneggiatura girava già tra gli studios hollywoodiani. Ovviamente rifiutata da tutti. Perché i capoccia, si sa, più di un insuccesso temono un processo. E di motivi per finire nella gogna mediatica Kick-Ass ne aveva, eccome. Come l'avrebbe presa l'America puritana se un film di derivazione Marvel, pieno di supereroi, quindi di largo consumo, avesse osato mettere le mani su una bambina di 11 anni, fino a prenderla a pugni, calci, pallottole e cannonate? E come si sarebbe scandalizzata poi se questa stessa bambina si fosse rivelata una feroce aguzzina capace di tagliare a fettine uomini e donne senza nemmeno battere ciglio mai?
Timori non del tutto infondati, se è vero che il film - finito inevitabilmente nel circuito produttivo indipendente - è incappato nel divieto ai 17 anni (il massimo negli Stati Uniti, mentre in Italia se l'è cavata con un più morbido "vietato ai 14") e negli strali di autorevoli critici come il buon vecchio Roger Erbert che, dalle roventi colonne del Chicago Sun-Times, ha bollato Kick-Ass definendolo senza troppi giri di parole "riprorevole". Non siamo d'accordo e siamo in buona compagnia, perché il pubblico ha ripagato la scommessa di Vaughn (regia) e Goldman (sceneggiatura) non tanto a bigliettoni - 48 milioni di dollari incassati non sono comunque pochi per un indie - quanto a simpatia. Che per i censori americani è uno smacco anche più grande.
Cercate su Google la voce Kick-Ass e vi apparirà l'eponimo che non ammette repliche: "cult-movie". Definizione, si sa, di ascendenza modaiola più che critica, da giovane accolita fighetta più che da circolo ricreativo per vecchi tromboni. Vuoi vedere che tra i fan c'è quel pubblico escluso dalla porta della censura e rientrato dalla finestra del passaparola e del pirataggio? Presumibile, fondato. Del resto il film è sui, per, e contro i teen-ager.
Tratto dal fumetto di Mark Millar - scozzese dal bicchiere facile e dalla penna avvelenata - kick-Ass è, da programma, il calcio nel sedere ai miti e agli inganni del cinema per adolescenti, ovvero ai teen-movie e ai Superman di Hollywood. In fondo è una commedia di nerd e di emarginati, al college, tra i bulli e le pupe. Ed è un action di vigilantes decerebrati che si mettono a fare gli eroi contro la mala metropolitana, decerebrata quanto loro e assai più violenta. Ed è pulp come un film di Tarantino, sanguinario, coatto e, sì, anche riprorevole. E ha una colonna sonora furbissima, non solo per il brano originale di Mika e di tanti altri campioni dell'impero discografico americano, ma anche per l'omaggio smaccato alle "tracce" di Morricone/Leone e all'allusione allo score del Batman di Nolan; esibisce una sfacciata autoreferenzialità virale - Kick-Ass personaggio sfonda sul tube, come fumetto e film faranno sulla Rete; trova infine una salutare vena dissacratoria che travolge persino l'irreprensibile Nicolas Cage che, rotti gli indugi e tolta la maschera, smette i panni del virtuoso per rivelarsi pazzo eroe al contrario.
Racconto di deformazione o, se volete, mappa al rovescio per orientarsi nei meandri della morale hollywoodiana. Quello che ieri era auspicabile, buono, giusto, oggi appare grottesco, paradossale, mostruoso. Il merito e il demerito di Vaughn è quello di non calcare mai la mano, di non enfatizzare. Un approccio che moltiplica le ambiguità, anzi le produce. Che non se ne lava le mani - come vorrebbe qualcuno - ma ci ride su, atrocemente. E che non sarebbe veramente incisivo se non calasse l'asso nella manica, l'infrazione al tabù dei tabù, la violenza della e sulla bambina. Perché sì il cast è buono (il protagonista è Aaron Johnson, che fu John Lennon in Nowhere Boy, mentre il nemico è l'impagabile Mark Strong accompagnato dall'odiosissimo figlio Christopher Mintz-Plasse), il copione gira, le battute divertono, ma senza Hit-Girl, alias Chloe Moretz, Kick-Ass non avrebbe uguale forza corrosiva. E' lei - più del debosciato eroe del titolo - a smascherare l'ingenuo Peter Pan del superomismo yankee. E' ancora lei a farsi carico, col suo corpicino armato e disarmante, dell'oscena mistica americana, di quell'idea diffusa e confusa di giustizia che vorrebbe recidere il gargoille della violenza con l'avvento di un angelo sterminatore altrettanto terrificante. Ed è lei, infine, a far saltare un ipocrita codice deontologico facendo di se stessa il vero cuore sanguinante delle strategie discorsive dell'action: che all'eterno bambino del pubblico ha sempre guardato come al target (commerciale) per antonomasia, salvo fare ammenda ora che se lo ritrova - ancora target, ma alla lettera: bersaglio da colpire e affondare - sulla scena. Fumo negli occhi per le major. Semplicemente troppo astuto e francamente inaccettabile per gli imprenditori della morale.