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Un appartamento a Skopye diviso in due. Nell’attico i benestanti, sotto i proletari. Il ricco compagno vuole la prole, lei, altezzosa donna in carriera, sogna la maternità, ma senza gravidanza. Due rampe di scale più giù, una guardia giurata è in crisi con la moglie frustrata, ma il perché rimane fumoso. Le due famiglie ogni tanto si guardano in cagnesco, sbeffeggiandosi a colpi di mozziconi lanciati a terra e slabbrature gratuite. La battaglia di classe è tutta qui.
E allora afrodiasiaco fu il Kaymak. Il guardiano prende a sollazzarsi con la venditrice del formaggio spalmabile (che titola la storia), ma la moglie scopre presto le loro acrobazie a letto. Dal dramma, però, la farsa: da un cassetto spaccato in testa al malcapitato amatore, si passa subitissimo al ménage à trois. Doppio, perché al piano di sopra la coppia paga, anzi affitta, anzi sfrutta la giovane cugina psicolabile di lei per fare il sospirato figlio con lui. E vissero tutti cinici e contenti? Macché, il sesso a tre non è così liberatorio. Presto c’è chi rimane escluso e si ribella, fin quando in un parossismo surreale la storia si trasforma in Thelma & Louise ai limiti del non-sense.
Coproduzione internazionale per una parodia erotizzante (?), Minchevski vorrebbe farsi cantore dei marginali, dei matti, di tutti gli esclusi dal “progresso” incoraggiandoli a scoprire la loro identità sessuale per emanciparsi. Ma la commedioula non trasforma mai le premesse (pur interessanti) in un discorso sociologico, né antropologico rigoroso. La trama presume di essere scandalistica, ma annaspa nella superficialità ormonale, scivolando maldestramente dal realismo sociale al grottesco in modo inavvertito e poco (per non dire per niente) fluido. C’è ovunque troppo ridicolo per il comico. I personaggi, cartine di tornasole senza rotondità, rimangono in balia di un abbrivio erotico da adolescenti mai elevato a livello di coscienza. Ognuno trova (o si illude di trovare) nel sesso un riscatto all’emarginazione affettiva, sociale (a volte tutte e due le cose), ma nessuno lo sa elaborare, razionalizzare. Nessuno ci fa i conti. Nemmeno il regista.
Restano, sullo sfondo, sparute pennellate di un affresco sociale che pure - per chi scrive, da italiano, guardando e non conoscendo - avrebbero il loro valore (documentario): una Macedonia sessuofobica, moralmente impoverita dalla febbre del denaro e del cemento che lascia indietro tanti per il benessere (?) di pochi. Ma Minchevski, il voyeurista, è troppo interessato a trastullarsi, a sghignazzare nelle camere matrimoniali per uscire e mostrarci cosa succede tra le strade. Insomma più frivolezze (ombelicali) che umorismo, più pruderie (gratuita) che erotismo.
Soprattutto, spiace annotarlo, ma il cinema ha già discusso certi temi (tanto) tempo fa. E lo ha fatto molto meglio.