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Kantoku Banzai!
Kitano, se lo conosci lo eviti. A meno non piaccia la divertita autoironia di Takeshi, attore comico, in televisione e al cinema, nonché regista fantasioso e surreale. La sua brillantezza e il talento innato per la commedia lo hanno spesso fatto passare per un genio, in verità è un artista furbetto e talentuoso. Lo dimostra anche l'ultimo lavoro, Glory to the filmaker!, presente nella sezione Fuori Concorso Venezia Maestri. Un'operazione commerciale, (auto)citazionista e leggerissima: nella levità di una comicità demenziale e parodistica e, allo stesso tempo, di una sceneggiatura che non decolla mai. L'uomo, narciso e insicuro come pochi, con trovata alla Nanni Moretti ci offre una prima parte esilarante raccontandoci in farsa i suoi tormenti: che film fare, come uscire fuori dall'etichetta in cui è stato "costretto" (o ci ha sguazzato?) da film apprezzati e gustosi come Hana-Bi (che qui a Venezia vinse), Zatoichi, Brother e Dolls. Ripercorre e sviluppa più esplicitamente alcune tematiche indirettamente autobiografiche di Takeshis', in uno Scary Movie nipponico in cui si esercita in diverse parodie dei vari generi cinematografici. Ecco allora improbabili titoli, dall'esistenzialista Pensionamento, alla disperata ricerca del mondo di Ozu, al melodramma d'amore L'autista innamorato, fino all'action Corvo azzurro: ninja special parte seconda o l'horror Teatro Noh. Kitano (che nel lungometraggio ha due alter ego: un attore e un provvidenziale pupazzo) è intelligente, arguto e preparato: ci dimostra le sue capacità con compitini facili facili, ma fatti bene. Poi con umorismo involontario e profetico, dopo un'oretta buona di boutade, finalmente sceglie tra i tanti film ipotizzati per rilanciare la propria carriera: ma sceglie quello sbagliato. Tra tanti spunti anche interessanti si impelaga in un disaster movie con coppia di truffatrici madre-figlia che rallentano il film fino a farlo diventare noioso. E ripetitivo, ben oltre la già sopportata riproposizione di schemi e stereotipi del mondo del cineasta giapponese. A questo si aggiunge un alto tasso d'incomprensibilità: nonostante gli ostinati sforzi di Mueller, infatti, certe trovate, certi riferimenti culturali di battute e sketch ci rimangono oscuri, digiuni come siamo della carriera televisiva di Kitano (d'altronde in Giappone non capirebbero mai il tormentone dello struzzo di Aldo, Giovanni e Giacomo) e del modo di (far)ridere del Sol Levante. Insomma, il simpatico istrione (come dimostrano prove recitative ottime, da Furyo a Tabù-Gohatto) ormai vive di rendita. E noi non lo capiamo, ma ci adeguiamo.