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I Wachowski, chi erano costoro? Ce lo chiediamo non perché Larry sia diventato Lana – Andy è sempre Andy, ‘na garanzia… – ma dal momento che il nuovo Jupiter Ascending, come già il precedente Cloud Atlas, sono solo pallida eco dei registi che furono, dei demiurghi che hanno inserito nella Storia del cinema la trilogia Matrix.
Tutto finito, la regressione autoriale, l’involuzione poetico-stilistica sono oggi l’unico precipitato sul grande schermo degli ex Wachowski Bros. Poveri loro, soprattutto, poveri noi, costretti a sorbirci le balle spaziali di Jupiter, il passo a due sghembo e zoppo della principessa eponima (Mila Kunis, al minimo sindacale) e l’ex militare palestrato e anabolizzato Caine (Channing Tatum, un tanto al chilo) uniti dal destino cosmico, dalle sorti non magnifiche e regressive di un Universo che faticiahimoa comprendere, meglio, che non vogliamo, tanto è poco interessante. Loro due contro il terzetto fratello-fratello-sorella Abrasax, che da una galassia lontana lontana comandano sulla Terra, ridotta a magazzino di pezzi di ricambio – sì, noi umani.
Ebbene, per due ore e rotti (non ci riferiamo ai minuti) Jupiter - Il destino dell'universo è tutto uno stracco dipanarsi di combattimenti caciaroni, trame orbitanti nel nonsense, ellissi narrative da buco nero e, ancora, disinteresse plenario. Nulla da salvare, proprio nulla, tranne un sintomatico scambio di battute, questo: Caine: “Sua Maestà, ho più cose in comune con un cane che con lei” – Jupiter: “Amo i cani, li ho sempre amati”. E toelettatura sia…