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John Lennon, immagine tratta da Imagine: John Lennon, @NEXO
Dettagli inediti, persone presenti sul luogo del delitto mai intervistate prima d'ora, rivelazioni sconcertanti. Questo è quel che promette John Lennon: Murder Without a Trial , docuserie targata Apple TV + che a più di quarant'anni dalla morte dell'ex Beatle punta a fare chiarezza su quanto avvenne prima durante e dopo l'omicidio. Ma ne esce un guazzabuglio complottista in cui a funzionare è soprattutto la narrazione di un'epoca.
New York. È l'8 dicembre 1980 quando John Lennon e sua moglie, Yoko Ono, rientrano a casa dopo una sessione di prove per il nuovo disco. "Casa" è il settimo piano dell'esclusivo palazzo Dakota, un centinaio di appartamenti che affaccia su Central Park, nell'Upper West Side di Manhattan. Ad attendere i due, il consueto gruppo di fan che si accalca sul marciapiede dell'ingresso in cerca di un autografo, una stretta di mano, un sorriso. John Lennon ha chiuso con i Beatles da una decina di anni, e in parte anche col mondo; vive lontano dalle luci della ribalta e si gode la sua nuova famiglia con Yoko e loro figlio, il piccolo Sean. Ma ora si sta riaffacciando al pubblico, ha anche registrato un'intervista poche ore prima. Mark David Chapman è lì, sul marciapiede, coi fan in attesa. È lui stesso un fan o, meglio, lo era finché non scoprì la famigerata dichiarazione del 1966 di Lennon: "I Beatles sono più popolari di Gesù". Non è credente, Chapman, o forse sì. Ha con sé una pistola e una copia del suo libro preferito, il romanzo di J.D. Salinger Il giovane Holden. Chapman spara cinque colpi, quattro vanno a segno. John Lennon morirà un paio d'ore dopo, in ospedale. Chapman si lascia docilmente arrestare, rilascia dichiarazioni deliranti dunque insoddisfacenti, la gente vuole sapere il perché di questo omicidio a sangue freddo e non trova risposte.
John Lennon non era soltanto un cantautore e un pacifista dichiarato, per tantissimi era un maestro di vita e via, un guru da ammirare e adorare. Quando la notizia dell'aggressione diviene pubbliche migliaia di persone di ogni età si radunano spontaneamente ai piedi del Dakota, piangendo e pregando e mantenendo il silenzio per lui, lasciando i presenti attoniti. I filmati d'epoca sono preziosi nel mostrare l'incontro tra questi due oceani che non si mescoleranno mai: come si reagisce alla morte, per di più violenta, di un'icona? Se lo domandano anche due giornalisti sportivi durante una partita: dobbiamo informare il pubblico, oppure no?
Il merito di questa miniserie è l'esaustività nel portare alla luce le dichiarazioni di chi c'era in quel momento: il tassista casualmente sul luogo del delitto, la giornalista che ha registrato la sua ultima intervista, il portiere del Dakota, il primo psichiatra (dei tanti) che visitò Chapman. La narrazione è classica, accomodante: la voce narrante di Kiefer Sutherland ci accompagna nella ridda di personaggi che hanno qualcosa da condividere, seguendo la tradizionale alternanza tra materiale d'archivio e riprese attuali, in cui i testimoni rivivono l'evento come se realmente stesse avvenendo tutto in quel momento, sotto gli occhi di tutti. A parte questo, però, non c'è altro motivo d'interesse. Anzi, gli accenni alle vetuste teorie del complotto (il solito MK-Ultra) fanno francamente cadere le braccia. Omicidio senza processo, recita il titolo tradotto in italiano, ma non c'è stato alcun "potere forte" che ha insabbiato tutto: semplicemente, con una mossa a sorpresa che ha spiazzato i suoi stessi avvocati, Chapman si è dichiarato colpevole.