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È un puro atto di iconoclastia Joaquim, il film di Marcelo Gomes in concorso alla Berlinale 2017: perché il protagonista del film è un eroe nazionale brasiliano, celebrato con una festa nazionale, che il film racconta come un utile idiota, un folle traditore che cambia causa a seconda del vento, il simbolo di un’ideologia forse falsa.
Ad aprire il film è la sua testa decapitata che racconta fuori campo la sua fine e poi a ritroso la sua vita: è una guardia imperiale portoghese di stanza in Brasile che dà la caccia ai trafficanti d’oro. Ma che prima per attrazione verso una schiava e poi per avidità verso il denaro che incontra comincia a venire a patti con le proprie idee e appartenenze, tradendo i propri compagni e il proprio paese verso una rivolta che separerà il Brasile dal Portogallo. La sceneggiatura del regista ha tutte le carte in regola per essere un dramma storico potente, in cui gli uomini e le loro ossessioni costruiscono la storia in modo fosco e violento, ma Gomes si arena di fronte al passo decisivo: ossia come raccontarlo tale dramma.
Seguendo Julio Machado con una macchina a mano traballante così prossima al cinema “di qualità” fin troppo codificato, Joaquim è il ritratto fuori dall’ipocrisia istituzionale di un eroe chiamato Tiradentes (per via delle pratiche dentistiche che eseguiva nell’esercito), un uomo talmente corrotto - come i suoi superiori che ovviamente serve e disprezza - da tradire tutti in nome delle uniche cose che lo interessano, dei bisogni primari come cibo e sesso o secondari come la ricchezza, l’oro. Gomes però nello spogliare il film delle sue asperità ossessive, restando alla messinscena più scabra possibile, gli toglie anche tutta la forza: a Joaquim manca lo scavo morale, il guizzo avventuroso, la passione, la descrizione dell’abiezione. Ovvero gli manca visivamente tutto ciò che il film vorrebbe raccontare.
E così il film di Gomes non un centro, un punto di interesse, si perde e si trascina come i suoi avventurieri nel mezzo della natura brulla. E quando il finale prepara al meglio, alla tanto attesa rivoluzione e alle promesse di vero cinema, il film finisce, come se le parole del Tiradentes decollato potessero bastare allo spettatore. In questo modo, un film spento e senza spina dorsale si prende anche il gusto di irridere lo spettatore.