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Jeanne du Barry @Stephanie Branchu Why Not Productions
Francia, XVIII secolo, la popolana Jeanne Vaubernier anela a elevarsi socialmente. Bell’aspetto e fascino aiutano, la scalata può iniziare. Il suo amante, il conte du Barry, dopo averne tratto largo profitto vuole presentarla al re, Luigi XV, complice il duca di Richelieu. Tra il sovrano e Jeanne è amore a prima vista: scandalo a corte e scala(ta) reale.
Sesto lungometraggio da regista di Maïwenn, Jeanne du Barry – La favorita del re apre fuori competizione il 76° Festival di Cannes: a incarnare la cortigiana è la stessa cineasta, mentre il re è Johnny Depp, al grande rientro sulle scene dopo le vicissitudini giudiziarie e l’ostracismo Warner Bros.
Al personaggio storico di Jeanne Maïwenn si è appassionata vedendolo interpretato da Asia Argento in Marie Antoinette di Sofia Coppola, l’ha poi molto studiato e, prendendosi qualche libertà, l’ha tradotto su schermo, confezionando il suo primo film in costume, invero assai diverso dal titolo che l’ha resa famosa, Polisse (2011), e dal successivo Mon roi (2015).
Ascesa e riscatto, amore e pregiudizio, trine e Versailles, battiti e prescrizioni, desii e proscrizioni, l’enciclopedia di genere cortigiano e l’agenda politica, con ovvi rimandi all’emancipazione femminile, lo spirito del tempo e l’esprit de finesse, che grazie a Dio l’ironia – Depp la provvede pressoché da divo del muto, ché sbilanciarsi troppo col francese non è cosa – non latita.
Nulla che non si sia già visto, tra cinema e serialità, eppure gli attori se la cavano egregiamente: Depp e Maïwenn sanno il fatto loro, e avere di contorno Benjamin Lavernhe, Pierre Richard, Melvil Poupad e Pascal Greggory aiuta.
Non tanto di più, ma la regia non è disprezzabile, e la scelta della pellicola 35mm tantomeno: non c’è genio e nemmeno sciatteria – e con 20 milioni di euro di budget di produzione ci mancherebbe. Malgrado l’assonanza con il capolavoro di Stanley, siamo più vicini a Bridgerton che a Barry Lindon, ma sarebbe sciocco aspettarsi il contrario.