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Le conseguenze del lavoro investono temi e forme del cinema francese qui a Cannes.
Dopo La loi du marché di Brizè, tocca a Je suis un soldat di Laurent Lariviere gettare uno sguardo sulla crisi, ma il risultato è di gran lunga inferiore. Peccato, perchè le premesse erano interessanti, con un'attenzione particolare verso la disoccupazione giovanile, perdipiù di genere rosa e con una divagazione sulle attività clandestine che fioriscono nella palude della recessione.
Interpretata dall'affascinante Louise Bourgoin, la protagonista del film, Sandrine, a 30 anni è costretta a tornare al nido materno perché non lavora e non è in grado di mantenersi. Dalla grande città al piccolo paesino di provincia ai confini del Belgio, con la vergogna di chi non è riuscito a farcela. La famiglia di Sandrine la riaccoglie senza troppi problemi, ma Sandrine dovrà lavorare per partecipare alle spese. Accetta così di mettersi alle dipendenze dello zio, che è nel business dei cani.
E qui inizia un altro film, che esplora il mondo del commercio clandestino, un mercato dove la nostra eroina prima vuole entrare con tutti i due piedi e poi uscirne senza disturbare nessuno. Le cose si mettono male per lei e male anche per noi, che non ci raccapezziamo più tra indicazioni contraddittorie, colpi di scena più o meno plausibili e soluzioni risibili.
In sintesi, Je suis un soldat non sa dove andare. Inizia una guerra e ne conclude un'altra, cambiando troppo spesso divisa: divagazione sociale, diario di formazione, melo familiare, thriller animalista.
Al netto delle pecche di sceneggiatura, difetta di stile e il naturalismo della messa in scena è di straordinaria banalità. Proprio non ci siamo.