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Torna Matt Damon, torna Paul Greengrass, e l’agente segreto smemorato nato dalla penna di Robert Ludlum fa cinque sul grande schermo: Jason Bourne, semplicemente. La CIA (Tommy Lee Jones) gli sta ancora alle calcagna, ma forse la stessa Agenzia (Alicia Vikander) gli porgerà la mano della pace; non mancano i cattivi (“l’asset” di Langley Vincent Cassel), né le vecchie conoscenze (Julia Stiles); soprattutto, non latitano sequenze action – Atene e Las Vegas, in primis – che consacrano Greengrass a campione del genere con riprese mozzafiato, virtuosismi tecnici e montaggio – una volta tanto è vero – parossistico.
Che manca? Tutto il resto, ovvero una storia plausibile, dei sottotesti per i palati europei, che allo stesso Greengrass – da United 93 a Green Zone – non sono estranei: la sensazione è di un film nato a Hollywood per essere fruito in Estremo Oriente, Cina in primis. Se una volta per soddisfarne gli spettatori si inseriva nel cast la star locale di turno, oggi si produce a uso e consumo della Repubblica Popolare: ritmo frenetico, movimenti – da Roma all’Islanda e Vegas – ubiqui, primato del fare sul dire, dello scazzottare sul riflettere, dello spettacolo sulla realtà. Cineseria.