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January
“A tutti i videomaker che sono morti per documentare la nostra storia” si legge sui titoli di coda di January, vincitore di tre premi alla Festa del Cinema di Roma 2022 (film, regia e attore). Dedica che è suggello di una storia le cui radici affondano nella biografia del regista, il lettone Viesturs Kairišs, e che torna nel mese del titolo: è il 1991, il muro di Berlino è caduto da poco più di un anno, la Lettonia si è dichiarata indipendente dall’aprile precedente e i carri armati sovietici stanno per invadere la neonata repubblica.
C’è un ragazzo, Jazis, figlio di un quieto comunista e di una veemente antisovietica, che ama il cinema di Andrej Tarkovskij, sogna di diventare il nuovo Ingmar Bergman e consuma la videocassetta pirata di Stranger than Paradise di Jim Jarmusch. E si innamora di Anna, aspirante cineasta come lui il cui patrigno sta nel KGB senza essere comunista, che gli fa ottenere un lavoro come assistente di Juris Podnieks, un rinomato documentarista che sta testimoniando i movimenti per l’indipendenza in Lettonia, Lituania ed Estonia. E c’è Ma la controffensiva è feroce, Riga viene invasa, l’arruolamento diventa una condanna, il dolore si mischia alla disperazione: potrà l’amore sopravvivere alla guerra?
Con un titolo che contiene una tranche de vie e al contempo sa misurare una vita, quel che c’è stato prima e quel che sarà, January è la quintessenza del racconto di formazione e per Kairišs si configura come uno specchio nel quale riflettere (su) se stesso. Nel tessere una narrazione tradizionale, dove i ricordi personali si intrecciano alla ricostruzione storica e gli uni influenzano l’altra e viceversa, restituisce la temperie giovanile di chi si nutre di immagini altrui per formare le proprie e cerca ispirazione nei modelli del passato per costruirne di nuovi.
Uno spirito suggestionato dalle nuove onde europee, da quella francese a quella cecoslovacca, ma più sul piano della passione che dell’esecuzione, tant’è che di questo sistema di riferimenti in January non vediamo che un distillato, tra inserti di pellicole che immortalano ciò che è stato e mai più sarà e momenti immersivi a raccontare i conflitti e le contraddizioni di un’avventura giovanile. Nei tre personaggi (c’è anche un altro giovane, Zeps) c’è il ritratto di una generazione: se la loro lotta è intrisa di posizionamento ideologico (contro gli aggressori), resistenza culturale (contro i totalitarismi), idealismo giovanile (contro la guerra) e protesta artistica (contro la propaganda), la catabasi è drammatica, segnata dalla sopraffazione e dalla morte.
Film militante e largo, che omaggia una passione civile oltre che artistica ed è meno cinefilo di quanto possa sembrare (o perlomeno con un’idea di cinefilia restituita in maniera non elitaria ma plasmata su sogni e bisogni), January è sincero e coinvolgente, correttamente confezionato (fotografia sgranata di Wojciech Staron, montaggio trasparente di Armands Začs) e ben interpretato (bravo Kārlis Arnolds Avots), e con convergenze col presente (l’aggressione russa all’Ucraina) così evidenti da farlo sembrare quasi instant movie.