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Italiano medio
Dopo i Zalone, i Siani e i Ruffini tocca a Maccio Capatonda tentare il complicato travaso sul grande schermo. Lo fa anche lui sotto l'egida Medusa, sviluppando un trailer di tre anni fa, che annunciava un film - Italiano medio – che era la parodia di Limitless. Ricordate il fanta-thriller in cui Bradley Cooper assumeva una misteriosa droga capace di ampliare le proprie facoltà mentali? Ecco, nel trailer ideato da Capatonda, succedeva esattamente il contrario: una pillola riduceva sensibilmente la percentuale di cervello sfruttato, da un consono venti per cento a un modestissimo due. Scritto, diretto, montato e interpretato da Capatonda, Italiano medio estende e approfondisce quell'idea raccontando la mutazione di Giulio Verme (Capatonda), da attivista radicale a menefreghista totale. Grazie alla pillola “decerebrante”, la coscienza sociale di Verme va in letargo e a risvegliarsi sono i suoi peggiori istinti, in un abbrutimento senza fine che tocca il punto più basso con la partecipazione a un talent–show per lobotomizzati, Mastervip. Spettatori-complici di questa metamorfosi un vecchio e ottuso compagno di scuola (Herbert Ballerina), la moglie monocorde (Lavinia Longhi), l'avvenente dirimpettaia (Barbara Tabita), l'impresentabile costruttore Cartelloni (Rupert Sciamenna) e un gruppo di ecoterroristi che si fanno chiamare “Salmoni” perché vanno sempre controcorrente. A rendere Italiano medio qualcosa di più e di meglio di uno sketch esteso, è una riuscita partitura corale, unita a un'architettura formale inedita per operazioni del genere. Italiano medio è un film a tutti gli effetti, che piuttosto che camuffare la sua modestia qualitativa la sottolinea nel tipico modo di Capatonda. Quest'ultimo riesce a combinare i punti di forza della sua comicità – svarioni linguistici, dialoghi da analfabeti, svuotamento dei codici filmici, paralisi facciale – con un canovaccio narrativo più articolato e adatto al lungometraggio. Il risultato, invece che annacquare le sue doti, le esalta, regalandoci una commedia che mancava e una declinazione dell'idiotismo mai fine a se stessa, lucida anzi nella rivisitazione vandalica di modelli cinematografici e televisivi pregressi. Il medio proporzionale tra l'italiano impegnato e quello debosciato e qualunquista è – sembra suggerire Capatonda – il medium, un blob dirompente e vischioso che trascina via tutto, la commedia piccolo-borghese e la tv trash degli ‘80, la volgarità dei cinepanettoni e l'arte della macchietta alla Sordi. Optando poi per una caricatura della caricatura che trasformi il modello originario in pura, inquietante astrazione, Capatonda oblitera uno sguardo immanente e nichilista in un ghigno alterato e disabitato. La sua Italia è l'espressione geografica di un Vuoto Cosmico: tutto è ammesso perché nulla vale. Persino la mostruosità sa essere sfacciatamente normale e spaventosamente divertente.