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It Follows
Merce sempre più rara l’horror intelligente tanto più se riesce a trasmettere una sana angoscia latente.
E proprio di trasmissioni parla It Follows, opera seconda firmata dal talentuoso David Robert Mitchell, in cui misteriose creature inseguono e uccidono giovani studenti legati da una particolare catena: ciascuno di loro ha trasmesso la propria “maledizione” per via sessuale.
Evidente metafora dell’AIDS e ironica riflessione sulla proverbiale sessuofobia del genere, It Follows finisce brillantemente per rovesciare i presupposti più bacchettoni e reazionari dell’horror in una caustica, libertina e liberatoria soluzione sessuale al problema, visto che per allontanare da sé il destino di morte i malcapitati scopriranno di avere come unica possibilità quella di infettare il prossimo.
A partire dalla notevole sequenza di apertura, David Robert Mitchell opta per uno stile rarefatto e geometrico, che alterna sontuosi tableaux vivants a movimenti di macchina circolari, che scrutano lo spazio a 360 gradi in cerca di vie di fuga che non esistono. Poco sangue e zero concessioni al brivido facile, ma uno straniamento continuo, un’ansia strisciante, calibrata sullo stato d’animo dei personaggi, un gruppo di teenager tra l’incredulo e l’impaurito di fronte all’irruzione dell’ignoto.
Quell’ignoto che, come nel precedente coming-of-age The Myth of the American Sleepover, altro non è se non esperienza di scoperta nel passaggio all’età adulta, incontro preliminare con le gioie del sesso e con la paura della morte. Perciò l’orrore è solo suggerito, tenuto costantemente fuori campo (a eccezioni della prima sequenza e dell’attacco in riva al mare) e insieme mai dimenticato, evocato dalla bella colonna sonora di Disasterpeace, piena di echi carpenteriani.
Quel Carpenter che è anche il punto di riferimento estetico e teorico del film. Un’eredità che però non si esaurisce nel plagio o nella citazione, ma viene assorbita e rielaborata da uno sguardo originale e consapevole, che val la pena seguire.