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Ci volevano un romanzo rosa da milioni di copie e un attore perlopiù televisivo all’opera terza come regista per rinverdire i fasti del grande film sentimentale, da sempre specialità hollywoodiana nel suo capitalizzare il carisma degli interpreti e squadernare un catalogo di traumi che possa allagare gli occhi del pubblico. Dal bestseller (con elementi autobiografici) di Colleen Hoover, It Ends with Us – Siamo noi a dire basta trova il centro magnetico in Blake Lively, non solo per la luce che irradia ma anche per come sa trovare una cifra personale nello svolgimento di un personaggio archetipico (la donna che vuole cambiare vita ma deve fare i conti con i contraccolpi del passato).
Lively esercita uno star power naturale, si trasforma in una novella Susan Hayward, gioca con gli stereotipi e con le facili metafore: la sua eroina si chiama Lily Blossom Bloom (letteralmente “fiore di giglio”) e, dopo la morte del padre, si trasferisce a Boston per aprire un negozio di fiori. Le basterebbe l’appagamento professionale, solo che finisce per innamorarsi di un dolce e ricco neurochirurgo palestrato che prima incontra per caso su un terrazzo e poi ritrova grazie al destino (“Uno come me l’hai visto solo nelle soap” ironizza Baldoni, che apparentemente si direbbe poco modesto per essersi ritagliato il ruolo di quest’uomo perfetto). Una vita da favola, se non fosse per certi ricordi del passato che riaffiorano qua e là, un misterioso cuore tatuato sulla clavicola e una cena in un ristorante di grido: il destino ti sorprende quando meno te l’aspetti, soprattutto se non ha finito di fare i conti con il passato e la storia rischia di ripetersi.
Senza strafare né eccedere in virtuosismi, Baldoni – già regista di due cancer movie, A un metro da te e Clouds – impagina con un occhio alla serialità pop e uno alle regole del mélo classico: il plot twist arriva al momento giusto, il cambio di registro è ben calibrato, la tensione monta senza derive pornografiche, i primi piani indicano una cartografia emotiva, la fotografia è al servizio dei corpi in scena e esalta una funzionale malinconia autunnale. Come indica il titolo (che a suo modo è uno spoiler, ma anche o un monito o un consiglio), il percorso della protagonista è complesso quanto esemplare, il che permette al pubblico femminile un utile processo di identificazione (in questo senso la figura della madre è.
Ma It Ends with Us – Siamo noi a dire ha soprattutto il merito di ragionare sulla consapevolezza degli uomini e sulla ridefinizione di un modello maschile, versante su cui da tempo Baldoni è impegnato (ha realizzato libri, podcast, talk su come la mascolinità tradizionalmente definita sia diventata un problema sociale), senza cadere nella trappola manichea della misandria. Il palinsesto è ampio: il patriarcato deve essere seppellito (letteralmente: ciò che è scritto sulle lapidi è meno incisivo di quel che non si può scrivere su un fazzoletto), il passato traumatico non può essere una giustificazione ma un punto di partenza per migliorarsi, l’aggressività va affrontata con specialisti, la vulnerabilità deve essere una ricchezza, nessuno si salva da solo. Bel finale sui tre fronti (genitorialità, famiglia, amore).