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Io ti conosco
La provocazione è già nel titolo: Io ti conosco. Il punto di partenza è lo sguardo, con lo scopo di andare oltre l’apparenza. Quando si può dire di conoscere davvero qualcuno? Di poterlo capire nel profondo? La risposta è semplice: forse mai.
Inizia da qui il film diretto da Laura Angiulli. Il suo è un cinema che lavora su diversi piani di linguaggio, partendo dal teatro. Magari vi siete imbattuti in Il re muore, che rielaborava in modo sperimentale il Riccardo II di Shakespeare. Il sentimento politico si faceva cardine della società. Si ragionava sulla fragilità, sull’inadeguatezza. Sono le stesse emozioni, consapevolezze, da cui nasce Io ti conosco. Anche qui ci sono livelli separati, che poi si uniscono. E alla base c’è un trauma, da cui è difficile rinascere.
Nina sta lavorando in montaggio a una storia di dolore e violenza. In poco tempo finisce con l’immergersi nelle immagini. Le sequenze scavano nel profondo e si ribaltano nella vita reale. Gli amori si fanno sofferenza, si affacciano gli orrori della brutalità che subiscono le donne. Il buio si alterna alla luce.
Io ti conosco si sofferma sul rapporto tra corpo e spazio, proprio come se fossimo su un palcoscenico. I movimenti si fanno danze, come gli scontri. A dominare sono i silenzi, chiavi di lettura per un racconto compatto. Nel suo essere sintetico, ellittico, il film si rivela in controtendenza rispetto a quello a cui siamo abituati. L’atto del guardare è l’elemento più importante. La protagonista cerca di dare un senso alle inquadrature. Sente la paura fluire quando vede la coppia del palazzo davanti che litiga furiosamente.
Io ti conosco è popolato di fantasmi, di presenze. Ma la vera soluzione si rivela il mare. Una gita in barca ha cambiato per sempre la vita di Nina. L’acqua si fa specchio dei suoi tormenti. Dovrebbe essere limpida, invece nasconde minacce. Dovrebbe purificare, ma alimenta un trauma. Nasce così un gioco di opposti. Nina cerca rifugio nella notte, che per lei è salvezza. Ed è qui che Io ti conosco si trasforma in una ricerca di luce, di senso. Mescola la finzione a ciò che accade davvero. Si rivela un incubo a occhi aperti, un brivido che ci appartiene. Ma nella speranza che il desiderio di autodistruzione si possa trasformare in una nuova possibilità di vita.