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Inspira, espira, uccidi - @ Courtesy of Netflix
Bjorn Diemel è un avvocato, galoppino del mafioso Dragan, per conto del quale risolve problemi e beghe legali. Un incarico che lo assorbe 24H, e un inevitabile veicolo di stress (e di crisi di coppia: d’altronde, il tempo libero da dedicare a moglie e figlia è inevitabilmente sacrificato). Come a molti di noi accade, Dieter cerca conforto nella mindfulness, accettando l’invito della moglie a seguire un seminario del professor Breitner. Dopo un iniziale scetticismo, gli incontri si rivelano determinanti per la gestione e il controllo dell’ansia, che ormai si era impadronita di Dieter. Il quale, però, non ha fatto i conti con la nuova quotidianità che lo aspetta: Dragan ha appena ucciso un affiliato di una gang rivale, e ordina all’avvocato di rinunciare al weekend con la figlia per nascondersi nel portabagagli e farsi portare in un posto sicuro. È un attimo. Le lezioni di mindfulness vengono in soccorso a Dieter… che con calma e rilassatezza, fa ciò che deve fare: diventare a sua volta un assassino.
Lo spettatore medio di Netflix, imbambolato per intere mezz’ore a scrollare col telecomando il menu principale nell’ardua scelta del titolo serale, rischia di passare oltre ad Achtsam Morden, novella produzione tedesca che traspone su piccolo schermo (pollice più pollice meno) il best seller di Karsten Dusse (edito in Italia da Giunti).
Sarebbe un peccato: l’umorismo nero che pervadeva il romanzo originale, in grado di diventare un caso letterario grazie alla dissacrazione del mito della mindfulness, è qui pressoché intatto.
Umorismo derivante dalla decontestualizzazione: i saggi principi del professor Breitner, volti al perseguimento della pace interiore, si applicano alla perfezione in tutti gli ambiti lavorativi e non, incluse le attività criminali. Concettualmente (e parecchio mutatis mutandis), non siamo lontani dalla psicanalisi alla base dei Sopranos; naturalmente Inspira, espira, uccidi vola molto più basso, per respiro e ambizioni, rivendicando la propria natura di prodotto di consumo poco impegnativo. Il tutto senza rinunciare alla qualità, in primis di recitazione, con l’ottimo Tom Schilling (La banda Baader-Meinhof, Oh Boy) a fare da mattatore ed una azzeccatissima caratterizzazione dei comprimari (esilarante Sascha, braccio destro di Dragan che trova un’alleanza con Dieter a partire dai comuni problemi familiari). La scrittura, fino al quarto episodio, accumula efficaci risvolti grotteschi e colpi di scena in un miracoloso equilibrio tra drama e comedy. Un peccato che la compattezza, principale pregio della serie, venga fatalmente meno nella seconda parte, diluendo narrazione e plot twist nell’arco di otto episodi quando ne sarebbero tranquillamente bastati cinque.
Da accattivante e piena di ritmo, Inspira, espira, uccidi diviene più meccanica e prevedibile; assolve il compito senza ulteriori guizzi ma annacqua la suspense, rifugiandosi nel registro semiserio e nella congenita invulnerabilità del protagonista, sempre un passo avanti rispetto ai propri antagonisti, mai sfiorato da dubbi etici e morali che pervaderebbero chiunque. Anche il finale a sorpresa (potenziale cliff per una nuova stagione), seminato con cura dalle prime puntate, giunge a destinazione troppo fuori tempo massimo per non risultare telefonato.
Malgrado il cedimento finale, Inspira, respira, uccidi ha il pregio di farsi voler bene, per quanto di buono regala in prima battuta; Schilling & Co. regalano momenti autenticamente divertenti, come l’odissea che accomuna poliziotti e malviventi: iscrivere i figli all’asilo nido. Tutto il mondo è paese. Anche in Germania.